Opinioni & Commenti

Il rischio di una liturgia senza Mistero

di Giuseppe SavagnonePer uno dei tanti paradossi che costellano la storia degli uomini, il Natale – la festa del silenzio e della povertà di Dio – si è trasformato nella nostra società in una sagra del rumore e del consumismo. Non alludiamo, qui, al clima di gaia eccitazione che pervade i cuori e che si manifesta negli addobbi delle strade e dei negozi, né all’usanza di scambiarsi regali, tutte cose, queste, che ben si addicono alla ricorrenza piena di letizia e di speranza che si vuole celebrare. Non pensiamo neppure alle simpatiche festicciole familiari – «Natale con i tuoi…» – che vedono finalmente riuniti parenti e amici, a cui i ritmi della vita moderna rendono sempre più difficile incontrarsi abitualmente. Anche in questo caso, siamo davanti a una sana usanza, che sottolinea l’esigenza di fraternità espressa da questa solennità religiosa.

Fa male, piuttosto, constatare che alla gente sembra non interessare quasi più nulla del significato del Natale, quasi che esso sia divenuto irrilevante, sommerso dalla frenesia degli acquisti sempre più costosi, dei divertimenti sempre più turbinosi e dispersivi, delle compagnie sempre più chiassose e superficiali. Ci si scambiano affettuosamente gli auguri, ma senza più sapere perché. L’eccitazione festosa, gli addobbi, i regali stessi, diventano allora fine a se stessi, una liturgia senza Mistero, un festeggiamento senza Festeggiato. Di più: essi finiscono per rendere superfluo ciò che dovrebbero richiamare e celebrare, trasformandosi in una strategia della mediocrità umana per difendersi dall’irruzione di Dio che la minaccia.

Torna in mente la scena penosa della donna incinta e di suo marito inesorabilmente respinti ed emarginati, in una notte come questa di duemila anni fa, da gente come noi, troppo assorbita dal superfluo per trovare la voglia e il coraggio di aprirsi all’essenziale. Non rischia di accadere qualcosa di simile anche oggi? Come reagiremmo se Maria e Giuseppe bussassero ancora – questa volta alle nostre porte – per chiederci di ospitare il Salvatore del mondo? Non siamo forse anche noi troppo «pieni» – di cose, di messaggi, di immagini – per poter fare posto nelle nostre vite a questo Bambino che chiede umilmente di essere accolto? Non siamo troppo ricchi, per poter sopportare la sua povertà?Qui è in gioco non solo il rapporto dell’uomo con Dio, ma quello che egli ha con se stesso. L’eccessiva ricchezza, come del resto l’eccessiva povertà, è nemica dei volti, che possono essere egualmente cancellati sia dall’una che dall’altra. La fisionomia di una statua emerge solo se c’è marmo a sufficienza. Altrimenti ciò che viene fuori è un aborto incompiuto. È il dramma di tanti uomini e donne del Terzo Mondo, sfigurati dall’indigenza. Ma esiste anche il pericolo opposto: che il volto resti prigioniero del blocco di pietra, se chi deve scolpirlo non ha il coraggio di togliere via il materiale superfluo. Senza un impoverimento, non può emergere alcuna forma. E questa è la minaccia che grava quotidianamente su di noi, cittadini della società opulenta.

Forse è il momento di riscoprire il vero dono che il Natale può portarci: una pausa di calma e di raccolta intimità, in cui ritrovare, insieme, il nostro volto e quello di Dio. Ma perché ciò avvenga, bisogna imparare a vivere questa festa in modo diverso, più sobrio e meno chiassoso. Bisogna provare a instaurare con le cose, con gli altri, con noi stessi, un rapporto più autentico, che ci renda finalmente capaci di percepire le nude voci della realtà e di gioirne con semplicità. Allora è possibile che Qualcosa – o Qualcuno – mai prima incontrato, profondamente umano e al tempo stesso divino, nasca misteriosamente dentro di noi e ricolmi il nostro cuore della sua pace.

Natale, attenti ai pacchi…

BENEDETTO XVI ALL’ANGELUS: MARIA E IL PRESEPIO CONTRO ‘L’INQUINAMENTO’ COMMERCIALE DEL NATALE