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Dopo un brutto 2005 l’Europa prova a ripartire

di PIER ANTONIO GRAZIANILa memoria del trattato europeo, pomposamente elevato al rango di costituzione, non è sopravvissuta che il tempo per un rammarico poco convinto di alcuni, l’indifferenza da obolo offerto senza convinzione di altri (specie i nuovi arrivati nell’Unione), il sorrisetto di chi, come la Gran Bretagna, soprattutto lei, si è vista togliere la castagna dal fuoco senza spesa. Un anno brutto per l’Europa, il 2005, conclusosi non a caso con la disputa sul bilancio dove si sono mischiati gli interessi nazionali, di chi come la Gran Bretagna vuol mantenere i suoi privilegi in materia di contributi, come la Francia che non vuole perdere i vantaggi per la sua agricoltura, il secondo piano infine tenuto da altri governi fra i quali l’Italia. Se non ci fosse stato il colpo di reni della Cancelleria tedesca targata Cdu, poteva finire anche peggio.

È giunto allora il tempo di chiarire cosa sia l’Europa e dove possa approdare l’unione così come è strutturata. Dopo l’adesione dei paesi ex comunisti, sembrava si fosse a due passi dalla realizzazione dell’auspicio di Giovanni Paolo II dei due polmoni, l’est e l’ovest, che tornavano a respirare insieme. Insieme ci sono, ma il respiro è asfittico: l’est, più che affascinato dall’unità politica sembra appagato dal sedersi al tavolo dell’Europa così com’è: se un ruolo i singoli paesi pensano di esercitare, la guerra in Iraq e il sostegno al governo americano dicono che alla possibile influenza tedesca che si poteva riscontrare dieci anni fa si è sostituita quella di Washington. L’ingresso dei paesi ex comunisti nell’Unione, più Cipro e Malta, non a caso – sconsideratamente per chi credeva nella possibilità di un risveglio politico unitario dell’Europa, accortamente per chi l’Europa la sopporta solo divisa – è avvenuto inoltre senza riforma delle istituzioni, di voti a maggioranza che avrebbero potuto innescare un processo unitario nuovo. Lento ancora, difficile certo, ma anche possibile.

La «costituzione» accennava a qualche timido passo in avanti, è vero, ma appariva, e probabilmente era, un sigillo posto su quel che c’era: a tenerlo fermo ci avrebbero pensato, la Gran Bretagna per antica coerenza, il nazionalismo francese, la preferenza per l’intesa politica con gli Stati Uniti dei paesi nuovi arrivati, le incertezze degli altri fra i quali l’Italia.

Il 2005 ha dunque seppellito l’Europa politica? Si possono fare solo delle considerazioni: la prima è che la Costituzione è uscita di scena anche perché offriva per buona una moneta falsa. Un esempio: l’istituzione di un ministro degli esteri, copia conforme a quello già esistente e che ha girovagato sinora per cancellerie distratte rappresentando poco più di se stesso, è sembrata un gioco di «monopoli» della politica.

Ripartire da qui, dalla lezione di un fallimento, è possibile, ma solo per un’Europa a due velocità o a cerchi concentrici: un nucleo di paesi europei decisi a dar vita ad una federazione politica e il resto che rimane legato all’unità di mercato o poco più. Al momento tuttavia c’è più che altro da sperare.