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L’«indagine» sulla legge 194, una sfida per il nuovo Parlamento

di Carlo CasiniL’indagine conoscitiva sulla attuazione della legge 194/78, chiusa il 31 gennaio scorso, è pervenuta a tre conclusioni: a) il concetto di prevenzione dell’aborto implica anche il sostegno affinché la gravidanza possa giungere al suo naturale termine; b) funzione specifica dei consultori familiari è proprio quella di fornire alla gestante che domanda l’interruzione di una gravidanza difficile o non desiderata una solidarietà fatta di consiglio e di aiuto concreto diretta a tutelare la vita del figlio insieme alla vera libertà della madre che è quella di non abortire; c) il volontariato a servizio della vita nascente costituisce una risorsa da accogliere e da incentivare.

Non si tratta di conclusioni particolarmente aggressive contro la legge 194. Anzi, il loro fondamento si trova proprio nella legge, se letta con occhiali non abortisti. Intendo per «cultura abortista» quella che nega o ignora la presenza di un essere umano vivo nel seno della gestante e che perciò considera l’aborto un diritto fondamentale e una «conquista di civiltà». Conseguentemente unico valore sarebbe la scelta della donna, quale essa sia. Questa cultura, sebbene assolutamente minoritaria, è riuscita ad essere dominante fino ad oggi. Lo dimostra la polarizzazione della prevenzione sulla sola contraccezione e l’emarginazione del volontariato per la vita, avvertito come una pietra di inciampo.

Proprio per questo l’indagine conoscitiva non è stata affatto «inutile e dannosa», come gli esponenti della opposizione parlamentare hanno detto. Dispiace moltissimo che a questo giudizio si siano omologati esponenti cattolici militanti nel centro-sinistra. Hanno perso una occasione per far crescere quella trasversalità vittoriosa nel referendum del giugno scorso, il cui fondamento culturale è che il valore della vita umana e quello della famiglia attraversano i confini partitici, contano di più delle alleanze politiche contingenti, devono costituire una forza unitiva pre-partitica di quanti hanno una concezione cristiana dell’uomo e della società, non debbono essere soltanto declamati ma devono ispirare strategie operative comuni.

A ben guardare l’obiettivo realistico di attuare le parti della legge che consentirebbero di difendere la vita, è davvero minimale, e manifesta la volontà di dialogo con tutti. Ha fatto bene Rosy Bindi, in una recente intervista sul Corriere della Sera, ad indicare La Pira come maestro di laicità, ma non credo che egli avrebbe abbandonato l’aula per non votare il documento finale della indagine conoscitiva. Io non dimentico l’appellativo attribuito da La Pira alla legge: «Integralmente iniqua!».

Tuttavia il desiderio di difendere concretamente la vita dei figli e la vera libertà delle madri ci fa addirittura ripercorrere alcuni ragionamenti che a suo tempo fecero taluni cattolici che fecero soffrire non poco la comunità cristiana difendendo la legge per non separarsi dai colleghi comunisti.

Rispondere da sinistra con il pregiudizio e la chiusura è davvero grave perché oggi il contesto è diverso. La completa dispersione partitica dei cattolici rende evidente il loro dovere di lavorare insieme per far vincere davvero le cose che più urgentemente contano. Accettando la fatica della gradualità. Ma non certo la logica dell’ambiguità. Il documento approvato al termine della indagine conoscitiva è una sfida affidata alla prossima legislatura non solo per quanto riguarda il rispetto della vita, ma anche riguardo alle nuove modalità di presenza politica dei cristiani.

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