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Islam, libertà religiosa a senso unico. Ma non c’è alternativa al dialogo

di Gian Maria Piccinelliprofessore ordinario di Diritto musulmano – II Università di NapoliOggi l’Islam ci appare come una religione di precetti, di norme che regolano la vita interiore e sociale dei credenti, e come tale è sentita e vissuta dalla più parte dei musulmani. L’Islam, in questo senso, è il risultato di un lungo, plurisecolare, processo di interpretazione del Corano e delle fonti ad opera dei dotti, teologi e giuristi, le cui dottrine si sono sedimentate all’interno delle società islamiche divenendo una tradizione in cui si rischia, talvolta, di perdere il senso del tempo e della storia.

L’Islam è cronologicamente l’ultima delle religioni rivelate che si riconoscono in Abramo. Ultima e, come tale, definitiva, la più perfetta rivelazione. Di questa definitività l’Islam ha piena coscienza. Chi ha conosciuto la verità del Messaggio divino rivelato al Profeta Maometto non ha «diritto» di allontanarsene. Cristiani ed ebrei, che vivono in uno stadio inferiore e imperfetto della conoscenza della Rivelazione di Dio sono accettati e «protetti» in quanto figli di Abramo e nell’attesa che giungano alla pienezza della verità.

Nei primi tempi dell’Islam, vivente ancora il Profeta, numerosi furono i tradimenti di alcuni gruppi di neo-convertiti all’Islam, per ragioni soprattutto politiche: La risposta fu una ferma condanna e una dura repressione con le armi alla mano ad opera dello stesso Maometto. Nel Corano troviamo traccia di quegli eventi attraverso i severi moniti divini contro gli apostati e gli incitamenti ai musulmani affinché i traditori venissero combattuti fino alla morte o al ritorno all’Islam.

L’apostasia, nella tradizione giuridica islamica, è da allora trattata molto severamente. L’apostata che permane nella sua scelta è messo a morte o imprigionato a vita. In ogni caso, perde tutti i suoi beni ogni diritto. Se sposato, il suo matrimonio è immediatamente annullato.

Gli stati musulmani moderni hanno, in gran parte, sistemi giuridici che tendono a mitigare gli effetti negativi derivanti da una applicazione troppo rigida della tradizione la quale, sia pur con significative differenze tra le diverse aree geografiche, è ancora vivente a livello sociale. Per questa ragione, lo sforzo di modernizzazione portato avanti dai legislatori mantiene chiaramente in vita molti elementi della tradizione. Così, anche laddove qualche costituzione riconosce i diritti dell’uomo, tra questi non trova accoglimento la libertà religiosa che viene identificata con la libertà (limitata) di culto, cioè con il diritto (attentamente regolamentato) che i fedeli delle sole religioni ebraica e cristiana hanno di celebrare i propri riti. La libertà religiosa è a «senso unico». Si può aderire all’Islam da qualunque fede, non si può recedere dall’Islam in nessun caso. Gli stessi culti ammessi, per ebrei e cristiani, possono essere praticati con notevoli limitazioni. Nei paesi più conservatori, per ebrei e cristiani sussistono limiti anche ai diritti civili derivanti dalla cittadinanza. Chi abbandona l’Islam per scegliere un’altra fede subisce innanzitutto la condanna della comunità e deve sopportare una enorme pressione sociale che sovente si trasforma anche in oppressione politica. Per costoro non resta che la scelta dell’emigrazione e, comunque, di una fede vissuta in clandestinità.

Al di là delle condanne e delle facili satire, in cui l’occidente cristiano non deve dimenticare la sua storia anche più recente, l’unica autentica alternativa è il dialogo, continuo, ininterrotto, sui valori comuni ai monoteismi abramitici, con un pensiero costante alle comunità cristiane che vivono in terra d’Islam e che, con la loro silenziosa presenza, testimoniano la speranza di una definitiva coesistenza nella diversità tra i figli di Isacco e di Ismaele.

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