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San Giuseppe, un modello anche per i politici

di Franco CardiniSan Giuseppe mi ricorda molte cose. La sua festa e i suoi dolcetti, quelli che cambiano nome e un po’ ricetta in tutta Italia, ma che sono comunque sempre presenti: frittelle, frappe, zeppole. Il grande personaggio del Vecchio Testamento, il Sognatore, il Vicerè d’Egitto, il protagonista del romanzo di Thomas Mann. E due belle canzoni che amavo ai bei tempi della mia specializzazione universitaria, a Parigi, alla fine degli Anni Sessanta: If I was a carpenter di Tim Hardin e Parfois je pens à toi, Joseph di Georges Moustaki. Nella tradizione folklorica cristiana, l’anziano artigiano che sposa una ragazzina è fatto spesso oggetto, in effetti, di qualche ironia: talora perfino pesante, come appunto accade nel folklore che non di rado intreccia devozione e irriverenza. In realtà, i lazzi folklorici e le performances dei cantautori moderni dipendono non tanto dal pochissimo che sappiamo su Giuseppe dai Vangeli canonici di Matteo e di Luca o da quelli apocrifi di Maria, da un testo molto interessante, il Vangelo apocrifo chiamato Storia di Giuseppe falegname. Si tratta di un testo molto importante soprattutto perché insegna la virtù della rassegnazione cristiana dinanzi alla morte e fornisce una delle più antiche visioni dell’Aldilà nell’immaginario cristiano.Dovrebbero meditare un po’ di più sulla figura di Giuseppe e sugli antichi testi che ce la tramandano, quelli che oggi blaterano tanto di tradizioni e di identità: anche per capire quanto davvero profonde siano le radici del cristianesimo.

Il padre putativo di Gesù, figura evangelico-canonica dell’obbedienza e della fiducia in Dio ed evangelico-apocrifa della rassegnazione dinanzi all’ineluttabilità della morte, è stato trascritto dalla Tradizione cristiana nei termini del santo dell’onestà, della modestia, della laboriosità, della coesione della famiglia.

È pertanto un santo démodé nella cultura occidentale moderna, quella che in seguito al processo di laicizzazione che si fonda sulla libertà individuale, sul successo , sulla visibilità: tutte caratteristiche disgregatrici rispetto alla solidarietà, al riserbo, alla modestia che caratterizzano il modello cristiano della Sacra Famiglia e che ancor oggi sono il nucleo forte della tradizione morale nelle famiglie cristiane orientali, in quelle ebraiche e in quelle musulmane. Virtù che l’Occidente ha perduto almeno in parte e che dovrebbe reimparare nel confronto con le culture differenti dalla sua, lasciando da parte le superbe elucubrazioni sulla sua «superiorità» che oggi vanno di moda.

E virtù che, in questa vigilia elettorale, potrebbero servir da modello anche a parecchi politici. San Giuseppe sa, fa e tace. Custodisce il grande segreto di Maria ch’è anche suo, lavora umilmente, affronta con riserbo la vita. È un modello cristiano prezioso, in questa vita pubblica nella quale sembra ormai che abbia ragione chi grida di più, chi si fa vedere più spesso, chi ha dalla sua più giornali e più televisioni; dove tutti pretendono di aver ragione senza nulla concedere all’avversario e dove il livello dell’ignoranza, della volgarità e della malafede sembra essere andato ben oltre i più allarmanti segnali di guardia. Ormai sentiamo urgente il bisogno di prudenza, di discrezione, di equità, di moderazione. Siamo stufi di slogans urlati a squarciagola, di scandali, di bugie, di dati truccati, di false notizie e di politica-spettacolo. La classe politica ha perduto di credibilità: e, vinca chi vinca il 9 aprile, i dati sull’astensione dal voto e sui voti nulli lo confermeranno. Anche ciò sarà prova di quanto sia necessario il bisogno di tornar alle virtù di cui Giuseppe è modello.