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Benedetto XVI al Ppe: l’anima della democrazia

di Edoardo Patriarca Gli interventi delle Chiese o delle Comunità ecclesiali nel dibattito pubblico, per esprimere “riserve o richiamare principi”, non sono “una forma di intolleranza o di interferenza, poiché tali interventi sono volti esclusivamente a illuminare le coscienze rendendole capaci di agire liberamente e in modo responsabile”. Lo ha detto, il 30 marzo, Benedetto XVI, ricevendo in udienza in Vaticano i partecipanti al convegno promosso, a Roma, dal Partito popolare europeo. Il Papa ha spiegato che ciò che sta particolarmente a cuore alla Chiesa sono “la protezione e la promozione della dignità della persona”. Per affrontare le grandi sfide che attendono l’Europa, “come la crescita e lo sviluppo dell’integrazione, la definizione di una politica di vicinato e il dibattito sul modello sociale”, ha aggiunto il Pontefice, “sarà importante trarre ispirazione dal patrimonio cristiano che ha contribuito significativamente a forgiare l’identità di questo continente”.

Chi si attendeva qualche novità o chissà quali dichiarazioni politiche a favore di una parte o dell’altra sarà rimasto deluso. Il Santo Padre viaggia per davvero su di un piano diverso e parla la stessa lingua a tutti coloro che incontra. È bene che si rilegga l’intervento dello scorso 12 gennaio all’udienza con gli amministratori della Regione Lazio: stessa impronta. Benedetto XVI ripropone la questione europea con la medesima passione del suo predecessore, preoccupato di un Continente che rinuncia a pensare al futuro perché dimentico delle sue radici, quasi ripudiate come un peso e un problema. E tra le radici più solide non si possono non ritrovare quelle cristiane che hanno strutturato profondamente la cultura europea; è solo dalla consapevolezza di questo patrimonio e ripartendo da quella ispirazione che l’Europa può ritrovare la sua vocazione planetaria e rideclinare al futuro un umanesimo fondato sulla persona e il suo diritto alla vita.

Solo un irresponsabile può ignorare tutto questo, talvolta in nome di una laicità male intesa che punta all’omologazione, all’appiattimento delle identità, persino dell’esperienza religiosa ridotta a evento privato che nulla a che vedere con la dimensione pubblica. E le conseguenze sono davanti a noi: individualismo, frammentazione sociale, mercantilismo, libertà senza responsabilità, il desiderio assunto come regola legislativa che non prevede più alcuna “pietra di inciampo”, dell’altro, del terzo, ma solo e semplicemente autorealizzazione narcisistica di se stessi. Un’Europa che invecchia non solo anagraficamente, ma che anche avvizzisce culturalmente e, dunque, si rende incapace di cogliere le sfide della globalizzazione.

È questa la preoccupazione appassionata che muove Benedetto XVI. Come negare che la democrazia fondata sulla persona e i suoi diritti è nata nell’alveo della cultura cristiana? Come non condividere e accogliere l’appello a non ridurre la democrazia a solo processo formale o a un castello di regole fredde che inevitabilmente negano le libertà delle formazione sociali, in primis quella della famiglia. Fondamentalismo, clericalismo? O invece l’invito a credenti e non credenti ad assumere questo patrimonio che non ambisce a imporre alcuna fede o una religione di Stato, ma semplicemente a prendere atto di una vicenda storica, culturale, sociale imponente. Un monito paterno, affinché non accada quello che già visto nel secolo scorso: lo smarrimento della idea di persona e l’uso della religione, negata o proposta come elemento identitario assoluto e posseduto solo da alcuni.

Conferma delle priorità, già indicate nella Nota dottrinale del 2002 in cui si richiamano alcuni principi propri della coscienza cristiana che debbono ispirare e orientare l’impegno sociale e politico dei cattolici nelle società democratiche. Contenuti irrinunciabili all’interno di una visione della fede che va accettata nella sua unitarietà: appare sempre strumentale estrapolare uno dei suoi contenuti e sottacerne altri. Il messaggio di Benedetto XVI appare ancora una volta semplice e al contempo capace di indicare un progetto non cattolico ma di uomo europeo e di una società più giusta e solidale. La persona e i suoi diritti, il diritto alla vita dall’inizio alla fine, il valore della famiglia cellula fondamentale, se per davvero si vuole una società più coesa e accogliente verso le nuove generazioni, la libertà di scegliere l’educazione per i propri figli, la libertà religiosa a fondamento delle altre. Si rivolge ai credenti e a coloro che non credono mettendo a disposizione questa sapienza e competenza di umanità di una Chiesa che è entrata nel Terzo millennio. Perché non confrontarsi con questa proposta piuttosto che rincorrere la solita polemica strumentale sulla legittimità dell’episcopato a intervenire e vedere come sospetto la possibilità dei cattolici in politica di esser quello che sono? L’attenzione di tanti media all’elettorato cattolico lascia per lo meno stupiti se si pensa al silenzio imposto alle voci del laicato cattolico durante la campagna referendaria sulla legge 40.

Discorso ai parlamentari del Ppe (30 marzo 2006)

I cattolici e la vita politica. NOta della Congregazione per la fede