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L’omicidio del piccolo Tommaso e la Pasqua

Di Francesco Lambiasivescovo, assistente generale dell’Azione cattolica italianaUn urlo terribile al cielo. Così Paolo Onofri ha reagito alla notizia della morte del figlio, il piccolo Tommaso. Lo strazio è infinito. Ancora una volta la morte ha dato scacco matto e l’ha fatta da padrona, nel modo più crudele: spegnendo la tenera voce di un angelo. Ora un dolore pesante come un macigno ci preme sul cuore e rischia di soffocare l’unica speranza che ci rimane: che Tommy vive, e un giorno il papà e la mamma lo riabbracceranno, e anche a noi sorriderà, per sempre, proprio con quel suo sorrisino dolcissimo e inconfondibile. Noi speriamo perché nessuna violenza è capace di cancellare per sempre il sorriso di un bambino, perché nessun bambino è «in più», perché ogni vita è unica, perché Dio non sta mai dalla parte del carnefice, neanche quando il carnefice fosse un giusto (è possibile?).

Dio sta sempre dalla parte della vittima, soprattutto quando è indifesa e innocente, come gli Innocenti uccisi da Erode. Come Abele, spazzato via da un Caino inferocito più di una belva. Come il piccolo Tommy: Gesù ha dato il suo sangue anche per lui, e se Gesù è risorto, allora diventa vero anche l’impossibile. Allora possiamo sperare anche nella conversione dei suoi uccisori. Ma se non si dà risurrezione, rimane l’assurdo. «Tutto è nulla»: lo diceva tre secoli prima di Cristo – con malinconico disincanto e dialettica implacabile – il Qoelet; lo diceva sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, ma, ancora, senza la luce della fede nella risurrezione. Anche la vita più onesta lascia aperto l’abisso del nulla ai nostri piedi. Soltanto la Pasqua può colmarlo.

Così scriveva Cesare Pavese nel suo diario: «Ma la grande, tremenda verità è questa: soffrire non serve a niente. Nulla può consolare della morte». E qualche giorno prima del suicidio aggiungeva: «Forse è tutto qui: in questo tremito del “se fosse vero”. Se davvero fosse vero…». Ma è vero: Cristo è risorto! E allora cambia tutto.

Indubbiamente, fin dall’inizio della storia, l’umanità nel suo insieme ha vissuto un’ascesa vertiginosa in ogni campo: nella cultura e nell’arte, nella politica e nell’economia, nel campo sociale e anche in quello morale. E però la storia umana è stata ininterrottamente sotto il segno vistoso del male e della morte. Troppo spesso la violenza ha trionfato sull’innocenza, addirittura l’ha irrisa e se ne è fatta beffe; la giustizia è stata sopraffatta dall’ingiustizia; il grido dei poveri e dei piccoli, il pianto degli umili e degli ultimi è stato sopraffatto dalle grida di trionfo dei gaudenti e dei malvagi. Su tutto ha steso la sua lugubre coltre la morte: morte di uomini, ma anche di civiltà e di culture. E quel che è più rivoltante è che la morte ha imposto la sua inesorabile, orrenda dittatura nella forma più oscena: la guerra. E lo splendido giardino che ci era stato donato – la terra – è diventata «l’aiuola che ci fa tanto feroci». Ma in questa interminabile, cupa litania di peccato e di morte ha fatto irruzione la risurrezione di Gesù. Troppo poco, un solo uomo sottratto al potere della morte? Apparentemente sì: nella grande struttura chiusa e compatta del peccato, la resurrezione di Gesù di Nazaret sembra avere aperto solo una piccola falla. Ma è una falla che alla fine farà affondare tutta la titanica corazzata del male. Il motivo è questo: se la croce aveva ucciso l’autore della vita, con la risurrezione Cristo è stato ricostituito comunicatore di vita, di tutta la vita, per tutti gli uomini, di tutti i tempi. Con il Risorto è stata spezzata in due la linea del tempo e la storia ha cambiato realmente corso.

Forse le parole più belle su questa inversione di rotta – non più ormai verso l’abisso del nulla – si trovano nella 2ª Lettera a Timoteo: Cristo «ha sbaragliato la morte e ha reso luminosa la vita» (1,10). Certo il male ha ancora le sue parole terribili e raccapriccianti da scrivere nel grande libro della storia. La vittoria di Cristo non è stata definitiva. Ma decisiva, sì: l’ultima parola sarà della Vita sulla morte, della Verità sulla menzogna, dell’Amore sull’egoismo. Dunque sperare si deve, e si deve perché si può: Cristo è il Signore della storia; la sua risurrezione non ci salva ancora dal dolore, ma nel dolore ci mette al riparo dalla disperazione. La notte di Pasqua riaccenderemo le piccole luci della nostra speranza. Cento candele spente non ne accendono nessuna; una sola candela accesa ne accende cento e più: è la grazia del Risorto. «Che Lui brilli in noi con la sua parola, con il suo Spirito, con la linfa dei suoi santi. Che la nostra vita sia la cera che si consuma in totale disponibilità». Lo scriveva don Andrea Santoro nell’ultima lettera prima di venire ucciso. La Pasqua è in corso: non possiamo non sperare.