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Pasqua, l’accozzaglia umana si trasforma in popolo dell’attesa

di Franco VaccariAbbiamo ancora negli occhi le fronde di ulivo e di palma di domenica scorsa. Immagini che si sono saldate ad altri osanna giunti via etere dai continenti e sfumate in dissolvenza con le palme e gli ulivi di Colonia di un anno fa. Abbiamo la mente e il cuore immersi nel racconto della Passione che ci salda a quelle strade di una Gerusalemme di due millenni fa, in un’impressionante continuità storica. Quel piccolo popolo, travolto da emozioni incomprensibili, frantumato interiormente e già disperso fisicamente, si trovò ad andare dietro a Gesù , lacerato sul «che fare», ammutolito sul «senso» di quello che stava capitando.Un capo perduto, un figlio unico ammazzato, un tenerissimo fratello scomparso per sempre, un sogno creduto infranto senza appello. Giuda non resse e considerando, forse, che «la vita è un brivido che vola via, è tutta un equilibrio sopra la follia», uscì di scena mescolandosi così per sempre, misteriosamente, a quelle folle che di anno in anno, da allora, provano a seguire Gesù in quel luogo dal quale ancora ci dice «voi ora non potete venire».

Sono folle raccolte in processioni diverse, numericamente e qualitativamente. Nella continuità di quel gesto tempi e culture diverse declinano scenari incomparabili: le processioni impossibili dei luoghi a sparuta minoranza cristiana (come quelli di don Santoro) danno la mano a espressioni di fede vivaci e cariche di ambiguità pagana, rimbalzano nelle piccole frazioni di un Appennino disabitato con tanto di campanile muto e traversano le città dove, accanto a una parrocchia che esce per strada con centinaia di bambini festosi, ne esiste un’altra, tutta di anziani che a fatica raggiungono le panche di chiesa. Basiliche semideserte e piazze piene come nelle giornate mondiali: da dove osservare con verità questo popolo? Un amico monaco, appena trapiantato dalla Toscana al Brasile, mi scrive: «Come cambiano le misure delle cose quando si esce appena un po’ da parametri consolidati e consumati!».

La Settimana Santa offre la possibilità di una comprensione profonda, al di là delle cifre e dei luoghi. Quale? Le pretese di Pietro, di Maria, dei discepoli sono state bruciate nella morte e risurrezione del Cristo, generando l’attesa che non delude. Le palme di domenica saranno bruciate e quella cenere ci sarà messa sul capo l’anno prossimo, nel primo mercoledì di quaresima. Il progredire personale e di popolo trova in questo simbolo il suo smacco e, insieme, la possibilità di un autentico senso da dare alla vita. Infatti, cosa dire di sensato e di duraturo senza misurarsi con la cenere? Come parlare di speranza senza questa misura? Manzoni, nel 5 Maggio esprime la pietà per la gloria infranta con la cifra tutta cristiana del «Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola, sulla deserta coltrice accanto a lui posò». Siamo eternamente quella gente, quell’accozzaglia umana sbandata dalla pretesa vacillante poi miseramente delusa, rigenerata in popolo dell’attesa, capace di cogliere, nel fluire dei giorni, il misterioso e inevitabile consumarsi e crescere dell’amore: come il cero, che illumina spengendosi.