Opinioni & Commenti

Televisione e politica: qualche suggerimento per il prossimo governo

di Mauro BanchiniIn quel grande «referendum» per decidere per o contro Berlusconi, lo strumento determinante lo avevamo tutti in casa: l’apparecchio televisivo. È per lo schermo casalingo che è stata costruita l’intera campagna elettorale basata proprio su fattori mediatici. Si doveva portare al voto chi da anni non votata più e convincere gli indecisi: non bianco o nullo, ma un segno. O per Silvio o per Romano. Tutto qui.

Nei paesi e nei quartieri, un tempo ci pensavano gli attivisti di partito che non erano ridotti a comitati elettorali. Adesso vincono i faccia a faccia tv dove i trucchi della demagogia mediatica (interruzioni polemiche al momento giusto, espressioni del viso, battutacce, volti abbronzati, corpi palestrati, capelli rinati) dominano sulla concretezza e sulla verità. Il uots ameriga di Albertone ha vinto alla grande.

Basta pensare all’ultimo scontro Berlusconi/Prodi e all’importanza di una battuta (se mi votate, abolirò l’Ici). Basta pensare al ruolo decisivo che nelle ultime ore ha avuto, rivelandosi determinante, la paura delle tasse anch’essa sapientemente veicolata attraverso i media: come scordare l’insistenza della domanda (ma che vuol dire parecchi milioni di euro? Dacci una cifra precisa) posta a un imbarazzato Rutelli da un determinato Gasparri a sostegno mediatico del sospetto mediatico posto da Berlusconi (se votate a sinistra, quelli vi aumentano le tasse). Altro che valori cristiani o salvaguardia della famiglia!

Un ruolo decisivo se lo sono preso i sondaggi pre-elettorali e i famosi exit pool. Chi, nella tragicomica nottata fra lunedì e martedì, ha cercato lumi nel digitale di Sky, si è imbattuto in un furente Gasparri che se la prendeva proprio con i sondaggisti. L’ora era tarda, lui era davvero arrabbiato e a un certo punto gli è scappata la verità: i sondaggisti – ha ammesso – sono pagati dai partiti per farsi raccontare ciò che i partiti vogliono sapere. In effetti questo dubbio era già venuto, ma sentirselo spiattellare proprio dall’ex ministro delle comunicazioni un po’ di effetto lo fa. E allora come levarsi il dubbio che queste votazioni siano state inquinate proprio da un uso populistico di una sondaggite fatta ad arte per manipolare gli elettori, in particolare quelli meno provveduti, grazie al potere mediatico?

Cosa chiedere al nuovo governo in materia televisiva? Proviamoci sulle cose … piccole.

1) Abolire gli exit pool. Non si capisce proprio l’importanza di spendere milioni di euro soltanto per il gusto di conoscere subito, alla chiusura dei seggi, chi ha vinto e chi ha perso, quando basta aspettare qualche ora per avere il risultato ufficiale.

2) Dimezzare gli spazi pubblicitari in tutte le reti televisive. È un po’ come per le armi: nel mondo ce ne sono talmente tante che se si decidesse di farne fuori in modo bilanciato qualche tonnellata, gli equilibri non cambierebbero. Pensate dunque che bellezza se un programma tv, invece di essere interrotto quattro volte con quaranta spot, fosse interrotto «solo» due volte con venti spot.

3) Assegnare all’azionariato popolare almeno una delle reti Rai, sia radio che televisione, togliendo dalle scatole in modo totale la pubblicità.

4) Destinare un ics per mille del fatturato pubblicitario a una seria azione di media education. Tanto più cresce, negli spettatori, la consapevolezza su un uso critico dei media tanto meglio è per una cittadinanza adulta.

5) Restituire dignità ai dibattiti politici. Basta con le contaminazioni fra ministri e ballerine, con i ministri impegnati a fare il sugo o a tirarsi le torte in faccia. Torniamo alla banalità dei (noiosi?) confronti politici dove la politica torna a essere quello che è. Una cosa seria.

Politiche 2006: I risultati in Toscana