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Il Papa ad Auschwitz: il grido del silenzio

di Cristiana Dobnercarmelitana scalza Benedetto XVI è persona di grandi silenzi, di lunghe meditazioni e riflessioni, non sature di sterile isolamento intellettualistico, sì di tempo fecondo che si spende per l’uomo, per ogni uomo vivente sulla nostra martoriata terra.Al cancello di Auschwitz, autentica beffa per l’intelligenza dell’uomo perché concretizzazione della menzogna sottesa all’ideologia nazista, Benedetto oppone il silenzio, non quello di valenza meditativa, riflessiva, ma di grande forza interiore che assume i contorni del suo opposto: il grido.

Il Papa abita questo ossimoro, questo paradosso esistenziale. Da grande teologo qual è potrebbe affrontarne le ragioni, darne spiegazioni, trovare vie d’uscita e scampare, travestendosi da maestro di speculazioni. Egli non lo fa, rifiuta la strada dei paludamenti culturali e imbocca quella della nudità, perché comprende che sarebbero tutte vie di fuga, altolocate ma pur sempre sabbia, sotto cui nascondere il capo.

La verità gli impone di non fuggire (infatti affermò “devo andare”) ma di caricarsi il fardello di tutti coloro che, in quel “luogo di orrore, di accumulo di crimini”, hanno sofferto: con il proprio volto e con quel grido stampato dentro.

Il grido non si può né eludere né mascherare, prorompe e graffia, colpisce.

Yevtushenko scrisse: “Io, pure, sono diventato un grido senza suono”, l’ossimoro si tramutò, si volse in assenza di suono, provocata dal troppo dolore.Il grido di Benedetto avvolge l’ossimoro, lo fa diventare sua dimora, perché rivela l’essere dialogico, relazionale, dell’uomo, peraltro in sintonia e somma raffinatezza di scelta filosofica con il pensiero attuale.

Quell’uomo che, se non si apre a Dio anche quando non lo comprende, perisce e si scopre pari ai criminali che hanno ingannato se stessi e i loro connazionali, sradicando la persona dalla relazione dialogica vitale, la sola capace di vita vera per sé e gli altri.

Lo stesso silenzio si fa cassa di risonanza delle sofferenze di chiunque varcò la soglia menzognera: Benedetto non dimentica nessuno, porta tutti dentro il suo grido.Perché Dio sia stato zitto, rimane imperscrutabile ed è prova di onestà radicale ammetterlo; forse perché intriso di rispetto per la libertà umana che avrebbe dovuto e potuto reagire come von Moltke, Lichtenberg, i giovani ragazzi della Rosa bianca e gli ignoti e anonimi tedeschi che hanno ospitato, nascosto e nutrito i loro connazionali perseguitati a rischio della propria pelle e della propria libertà.

Il grido, proprio perché relazionale, interpella l’uomo, ogni uomo, quello che visse allora in contemporanea e quello che vive oggi.

La quadratura del cerchio? L’apologia del silenzio? Benedetto non vuole imporre nulla, si limita a gridare e a non difendersi o ad accusare.

Essere avvolti dal silenzio di Dio gravato sul popolo di Israele e su chiunque sia stato colpito dalla dilagante aberrazione nazista e riuscire a gridare, proprio a Lui e non contro di Lui, richiede una fede trasparente, semplice e provata. Diviene l’unica strada percorribile per non smarrire se stessi e trovare la direzione esatta: rimanere in questo grido, a tutti i costi, farne la propria dimensione mentre si vive alla ricerca della Verità.L’unico grido si ripercuote su Dio e sull’uomo, entrambi devono esserne colpiti; la persona infatti non è tale se non si volge all’uno e all’altro.

Le stesse, terrificanti, lapidi sono un grido inciso nella pietra e si ergono nel silenzio proclamando i “testimoni della verità e del bene”.

Una peculiarità del grido di Benedetto XVI è la creatività, abitare il grido, in realtà, non significa rimanere inerti, curvi sul proprio dolore, archivisti di sofferenza o archeologi di dolore passato; significa piuttosto poggiare talmente saldamente su questa consapevolezza da poter guardare il presente e il futuro e dare vita a iniziative che si dedichino non a cancellare l’orrore ma a farlo diventare humus pe r la persona.

Le orecchie non saranno più otturate, come ammoniva la sensibile poetessa Nelly Sachs, dalle ortiche dell’antisemitismo, ma perforate dal grido, si apriranno alla conoscenza, al rispetto della diversità, daranno vita a uno stile esistenziale nuovo.

Il grido di Benedetto può non piacere, può essere considerato solo commovente e non strutturato di verità e di consapevolezza, ha lacerato però la pioggia e, senza che nessun comitato organizzatore potesse prevederlo o attuarlo, è sfociato nel segno della pace, in quell’arcobaleno che sigla la presenza di Dio all’uomo e il rapporto ricreato. Per sempre.

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