Opinioni & Commenti
Il Papa ad Auschwitz: il grido del silenzio
Il Papa abita questo ossimoro, questo paradosso esistenziale. Da grande teologo qual è potrebbe affrontarne le ragioni, darne spiegazioni, trovare vie d’uscita e scampare, travestendosi da maestro di speculazioni. Egli non lo fa, rifiuta la strada dei paludamenti culturali e imbocca quella della nudità, perché comprende che sarebbero tutte vie di fuga, altolocate ma pur sempre sabbia, sotto cui nascondere il capo.
La verità gli impone di non fuggire (infatti affermò devo andare) ma di caricarsi il fardello di tutti coloro che, in quel luogo di orrore, di accumulo di crimini, hanno sofferto: con il proprio volto e con quel grido stampato dentro.
Il grido non si può né eludere né mascherare, prorompe e graffia, colpisce.
Quell’uomo che, se non si apre a Dio anche quando non lo comprende, perisce e si scopre pari ai criminali che hanno ingannato se stessi e i loro connazionali, sradicando la persona dalla relazione dialogica vitale, la sola capace di vita vera per sé e gli altri.
Il grido, proprio perché relazionale, interpella l’uomo, ogni uomo, quello che visse allora in contemporanea e quello che vive oggi.
La quadratura del cerchio? L’apologia del silenzio? Benedetto non vuole imporre nulla, si limita a gridare e a non difendersi o ad accusare.
Le stesse, terrificanti, lapidi sono un grido inciso nella pietra e si ergono nel silenzio proclamando i testimoni della verità e del bene.
Una peculiarità del grido di Benedetto XVI è la creatività, abitare il grido, in realtà, non significa rimanere inerti, curvi sul proprio dolore, archivisti di sofferenza o archeologi di dolore passato; significa piuttosto poggiare talmente saldamente su questa consapevolezza da poter guardare il presente e il futuro e dare vita a iniziative che si dedichino non a cancellare l’orrore ma a farlo diventare humus pe r la persona.
Le orecchie non saranno più otturate, come ammoniva la sensibile poetessa Nelly Sachs, dalle ortiche dell’antisemitismo, ma perforate dal grido, si apriranno alla conoscenza, al rispetto della diversità, daranno vita a uno stile esistenziale nuovo.
Il grido di Benedetto può non piacere, può essere considerato solo commovente e non strutturato di verità e di consapevolezza, ha lacerato però la pioggia e, senza che nessun comitato organizzatore potesse prevederlo o attuarlo, è sfociato nel segno della pace, in quell’arcobaleno che sigla la presenza di Dio all’uomo e il rapporto ricreato. Per sempre.