Opinioni & Commenti

La Polonia cattolica alla ricerca d’identità

di Romanello CantiniIl cardinale Wiszynski diceva che la Polonia era «il Cristo delle nazioni». E voleva dire che nessun popolo negli ultimi trecento anni aveva sofferto quanto il popolo polacco. Già nell’Ottocento anche Montalambert scriveva che la Polonia era «l’eroina del cattolicesimo sconfitto». La nazione che aveva fondato la sua identità sul cattolicesimo come contrapposizione fra il protestantesimo tedesco ad Ovest e l’ortodossia russa ad Est, era stata divisa per ben tre volte nel Settecento e le sue spoglie erano state spartite fra Prussia, Austria e Russia. Per due volte nel corso dell’Ottocento (1831,1863) aveva cercato inutilmente con rivolte disperate e solitarie di sottrarsi al giogo russo. Nemmeno il papa Gregorio XVI aveva dato allora ragione ai polacchi. L’unica voce viva della Polonia era quella di Federico Chopin o del grande scrittore Adam Mickiewics entrambi esuli a Parigi.

E il peggio doveva ancora venire. In due secoli, dal 1795 al 1990, la Polonia ha goduto solo di diciannove anni di indipendenza, dal 1920 al 1939. Ma questa boccata di libertà fu pagata atrocemente. All’inizio della seconda guerra mondiale i polacchi si gettano inutilmente a piedi o a cavallo contro i panzer di Hitler. La Polonia è di nuovo spartita fra Germania e Russia. Alla fine della seconda guerra mondiale i polacchi si accorgeranno di essere sei milioni in meno. Era morto quasi un polacco su quattro. Una tassa di sangue che in proporzione non fu pagata da nessun altro paese. Dentro questo salasso immane c’erano i milioni di ebrei sterminati in massa, i duecentomila polacchi massacrati dopo che nella rivolta di Varsavia del 1944 avevano combattuto anche nelle fogne, i tremila preti uccisi con il lavoro massacrante, le camere a gas, gli esperimenti medici, i 167 professori della università di Cracovia internati al completo nel campo di Sashserhauser e, giù giù, fino all’insegnante, al medico, al funzionario, al proprietario terriero perché i polacchi ridotti in schiavitù non dovevano avere più una classe dirigente, perché dovevano essere «pura forza lavoro», «rimasuglio di esseri umani» a cui, sempre secondo Himmler, a scuola non si doveva insegnare a contare oltre cinquecento.

Nel cuore della Polonia, ad Oswiecn, in una vecchia caserma della cavalleria austrungarica ribattezzata Auschwitz, dal 1942 era stata messa in funzione la più efficiente industria di morte mai immaginata, capace di uccidere migliaia di uomini al giorno. Non troppo distante, a Katyn, disposti su tre strati e ognuno con il suo preciso foro di proiettili alla nuca, nel 1943 fu scoperta la prima fossa comune degli undicimila ufficiali dell’esercito polacco fatti eliminare fino all’ultimo da Stalin. Non si può capire l’orrore della guerra e l’ossessione della pace di Giovanni Paolo II se non si tiene conto di questo scenario orribile che è stato il vero seminario in negativo in cui il giovane Wojtyla è cresciuto.

Alla fine della seconda guerra mondiale, nonostante la volontà di una Resistenza polacca che ha combattuto oltre che in patria nella aviazione e nella marina inglese, in Norvegia e in Francia, in Italia e in Medioriente e che era insieme antitedesca e antirussa, la Polonia entra a far parte della zona di influenza sovietica. Il nuovo regime comunista rende dura la vita alla Chiesa. Vengono nazionalizzate le sue opere pie ed è laicizzato l’insegnamento. Vengono arrestati il vescovo di Katowice, monsignor Adamki, l’arcivescovo di Cracovia, monsignor Baziak e infine nel 1953 anche il primate di Polonia cardinale Stefan Wiszynski.

Nel 1956, sull’onda della destalinizzazione, anche la Polonia, come l’Ungheria, si rivolta. Ma qui è il cardinale Wisznski, appena liberato dal carcere, che fa da mediatore fra i ribelli e il regime. Fra il cardinale che ha detto «non abbiamo bisogno di morti eroiche, ma di eroico lavoro per la patria» e il nuovo capo del partito comunista Gomulka viene raggiunto un compromesso. La Chiesa ottiene una notevole libertà di agire, il controllo dell’insegnamento religioso nelle scuole, l’assistenza religiosa agli ammalati e ai detenuti. Pur sotto il regime la Chiesa polacca conserva la sua forza.Ma la Polonia rimane pur sempre il più indocile dei paesi comunisti. Nel 1970 una nuova sollevazione viene repressa anche a prezzo del sangue.

Finalmente arriva la grande speranza del papa Polacco. Il 2 giugno 1979 tutte le campane della Polonia suonava a festa nel momento il cui cardinale di Cracovia torna da papa a baciare la sua terra. Oltre un milione di persone accoglie ovunque Giovanni Paolo II. Alla fine della visita nella sua patria più di tredici milioni di polacchi, un terzo della popolazione, hanno visto il papa da vicino.

Nell’estate dell’anno successivo un aumento del prezzo della carne provoca un grande sciopero degli operai nei cantieri navali di Danzica. Li guida un elettricista sconosciuto: Lec Walesa. La protesta è un singolare atto di lotta pacifica e di devozione. Quattromila operai assistono alla messa nei cantieri intitolati a Lenin, ai cancelli è affissa l’immagine della Madonna Nera di Czestachowa, dentro i cancelli si fanno file di chilometri davanti ai confessionali all’aperto.

Il 31 agosto il governo cede. Il capo comunista Gierek approva l’accordo che riconosce il sindacato di Solidarnosc. Walesa mette la sua firma al documento con una stilografica che porta sul cappuccio l’immagine del papa: è un souvenir del viaggio papale dell’anno prima.

Il nuovo sindacato avrà libertà solo per sedici mesi. Poi il 12 dicembre 1981 il generale Jaruselki, nuovo capo del governo polacco, decreta lo stato d’assedio. I capi di Solidarnosc vengono arrestati. Si teme un intervento sovietico e la fine di ogni indipendenza del paese.

Ma la Polonia senza Solidarnosc è ormai ingovernabile. Nel luglio 1983, lo stesso anno in cui ottiene il premio Nobel per la pace, Walesa viene liberato. E infine l’epilogo. Nel gennaio del 1989 il generale Jurazelski decide di trattare direttamente con Solidarnosc il futuro anche politico del paese. Si arriva ad un accordo che prevede delle elezioni in cui il trentacinque per cento dei seggi saranno scelti direttamente dai cittadini. È inutile dire che tutti i seggi liberi saranno conquistati da Solidarnosc. Il risultato è una vittoria clamorosa del sindacato libero seppure mascherata dalla prudenza e dalla opportunità: presidente della repubblica sarà il generale Jaruseski, ma primo ministro sarà un esponente di Solidarnosc: Tadeus Masowiecki. È caduto seppure con un tonfo soffice, il regime comunista dell’Europa dell’Est. È una rivoluzione che ormai chiude il secolo dei totalitarismi in Europa. E soprattutto è stata una rivoluzione senza nemmeno una vittima che ha dimostrato come la non violenza possa non solo essere praticata, ma anche essere vittoriosa.

La Polonia di oggi ha perso molte delle speranze che animarono l’epoca febbrile di Solidarnosc. Per dieci anni è stata al potere la socialdemocrazia di Alexandre Kwasniewski che era in parte il rifugio dei riciclati del vecchio regime e che è crollata in mezzo agli scandali.

I discendenti di Solidarnosc sono ormai divisi fra la Piattaforma Civica (Po) di tendenza liberale, a cui vanno le preferenze del pensionato Lec Walesa e il Partito Legge e Diritto (Pis) dei fratelli gemelli Lec e Jaroslaw Kaczynski che ha vinto le elezioni dello scorso ottobre e che si propone come una formazione più intransigente nella difesa dei valori tradizionali, più propensa all’interventismo statale e più diffidente nei confronti della unificazione europea.

Nel frattempo anche la Polonia è alle prese con il permissivismo tipico del resto d’Europa con una industria pornografica fiorente e un numero di aborti uguale a quello dell’Italia. Quella di oggi è una Polonia con il più alto tasso di disoccupazione in Europa (18%) e con una partecipazione alle elezioni fra le più basse intorno al 50%.

Fra i tre milioni di ascoltatori di Radio Maria con la Lega delle famiglie Polacche che assale le cliniche dove si pratica l’aborto e una parte della popolazione anche praticante che si batte contro la presunta ingerenza della gerarchia ecclesiastica nella politica del paese la Polonia ha oggi bisogno di ritrovare un cattolicesimo meno aggressivo, ma anche più persuasivo, meno chiassoso, ma anche meno arrendevole, meno intransigente verso gli altri, ma anche più esigente verso se stesso.

Lo speciale su Benedetto XVI in Polonia