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Tossicodipendenza, le stanze della sconfitta

Una «scorciatoia», che «rischia di aggravare il fenomeno della tossicodipendenza, più che risolverlo». Così Mario Pollo, docente all’Università Salesiana, definisce la proposta di istituire anche in Italia le cosiddette «stanze del buco», appositi luoghi in cui si effettua la somministrazione di eroina sotto controllo medico. Il sociologo dichiara all’agenzia di stampa Sir la sua contrarietà a proposte come quelle avanzate dal ministro per la Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, perché «significano di fatto, anche se per finalità di per sé positive, l’introduzione dell’uso – sia pur limitato e controllato – di sostanze stupefacenti all’interno dei nostri canoni culturali. Non riuscendo a vincere la battaglia contro il consumo di droga la si incorpora cercando di renderla meno dannosa per chi la consuma e per la società». La via da percorrere resta invece quella di «agire sulla prevenzione e sulle strategie alternative o di recupero da indicare ai giovani», tutti versanti dove, per il docente della Salesiana, «c’è stato invece un arretramento generale».Legalizzare un fenomeno esistente, per «renderlo meno pericoloso e neutralizzarne gli effetti negativi, è – a giudizio di Giuseppe Savagnone – un atto di irresponsabilità verso il futuro», perché rappresenta un incentivo alla «cultura dello stordimento» e della «anestesia delle coscienze» di cui la droga è una metafora. Sul piano culturale, «dovremmo – spiega il docente siciliano – combattere tutte le droghe ed essere più proibizionisti, se vogliamo davvero cambiare la società». E per cambiarla «abbiamo bisogno di tutto tranne che di maggior stordimento».

La droga è «la cosa più conservatrice che ci sia, perché impedisce il rapporto diretto con la realtà su cui incidere per poterla cambiare». È in questo contesto che si colloca il «meccanismo perverso» della proposta del ministro, fatta in nome della «legalizzazione di un fenomeno già esistente, posto sotto l’egida dello Stato per avere meno danni»: un atteggiamento, questo, che «produce l’effetto deleterio di far diventare il fenomeno un fenomeno normale, incarnato nel costume come comportamento già acquisito».

La «vera prevenzione», conclude Savagnone, sta invece in una «battaglia educativa» che proponga ai giovani «uno stile completamente diverso», all’insegna della «responsabilità» e del «risveglio delle coscienze».