Opinioni & Commenti
Medio Oriente, Roma non è un traguardo
Ma fin d’ora si può dire che il risultato più tangibile del vertice è l’impegno per l’assistenza ai profughi, l’apertura di corridoi umanitari, le offerte per la ricostruzione di un Libano duramente troncato nelle sue infrastrutture, oltre che sconvolto nella sua popolazione. Non è poco se si pensa che i profughi sono ormai un popolo di 800mila persone, per un terzo bambini, e che i danni subiti dal Paese sono pari a un quarto del suo reddito nazionale.
È molto dubbio che gli Hezbollah rinuncino alle armi se, come si dice, viene restituita al Libano la zona di Chebaa, un territorio di appena quaranta chilometri quadrati che è un po’ troppo smilzo per dar ragione a una guerra irredentista. Il problema è molto più difficile e complesso e bisognerà necessariamente, per ottenere anche un risultato minimo, cercare la collaborazione della Siria, per non parlare dell’Iran che rifornisce gli Hezbollah di idee oltre che di armi. Non è al momento chiaro neanche se la forza di pace dell’Onu deve essere uno strumento in mano al governo libanese per piegare gli Hezbollah, oppure se dev’essere una forza di interposizione che occupa il loro territorio allungando la distanza fra le postazioni dei razzi katiuscia e le città di Israele.
Una forza di pace dell’Onu adeguata alle difficoltà della crisi e allo scontro in atto è comunque fondamentale. Perfino Israele, che ha sempre rifiutato finora una simile ipotesi perché vedeva in una guardia messagli accanto una sorta di condanna morale, ora l’ha accetta. Perché finalmente si accorge, anche senza confessarlo apertamente, che spostare i confini non toglie di mezzo i nemici e che il tempo lungo della sua autodifesa tutta autarchica è finito.