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«Anche tu morirai». Ma la morte è un’astrazione
Vicino a questo monumento funebre, un sepolcro sormontato da un teschio ci ricorda a caratteri greci che «tutte le cose sono mortali, immortale è solo la morte». «Ricordati uomo, che non puoi sfuggire alla morte». Un bel libro francese L’uomo e la morte che lessi parecchi anni fa, è una rassegna dell’atteggiamento di diverse culture in diversi tempi di fronte alla morte. La morte è un’astrazione, esistono gli esseri umani che si allontanano per sempre dalla convivenza con gli altri. I testimoni di questa scomparsa e di questa assenza, e le varie reazioni di pace, di rivolta, di accettazione rassegnata e talvolta di liberazione per la prossimità ad una sofferenza troppo prolungata e troppo lacerante, è la nostra storia quotidiana.
Resta ancora, sempre più flebile, l’uso di scongiurare la paura della morte depositando nel banco dello Spirito Santo dei titoli valevoli nell’aldilà. Un libro molto gustoso, rappresenta un mercante di Prato che corre affannosamente alla ricerca di accumulare soldi perché vuole assicurarsi una vecchiaia comoda e felice; ma arrivato agli ultimi tempi si accorge che presto batterà alla porta della morte, e la paura gli porta via tutti i soldi accumulati con furba capacità.
Un’angoscia profonda riempie oggi il vuoto scavato dalla perdita del senso vero ed unico dell’esistenza, la gioia. La morte diffusa dall’uomo sulle cose create e su gli esseri umani (un bambino muore di fame ogni otto secondi) denunzia questa angoscia che rode il cuore dell’uomo specialmente quello definito felice perché sazio. A proposito di morte, leggendo un filosofo francese, Francois Jullien, mi ha colpito la scoperta di un saggio cinese vissuto tre secoli prima di Cristo, Zhuangzi, che parla dell’essere umano come di un corpo abitato da un soffio celeste. Questa notizia mi ha fatto trasalire di gioia perché da tempo la mia spiritualità è orientata da due consigli – ordini che Paolo rivolge ai cristiani: «Non rendete triste lo Spirito» (Ef.4,3); «Non spengete lo Spirito» (1Tess. 5,19). La tristezza dello spirito-soffio mi ha portato all’immagine di un uccello catturato in una gabbia, che sbatte tutto il suo corpo vivacemente sulle sbarre e cade sul fondo triste perché non potrà più tornare allo spazio celeste che è il suo. E il soffio si spenge per sempre per un mucchio di pietre che l’esistente vi ha gettato sopra.
Questo indirizzo di spiritualità offre dei vantaggi: il primo, il fatto di essere di una semplicità che dispensa da letture, da scuole, da maestri perché il solo compito lasciato al credente è solo quello di liberare il soffio per affidarlo ad un altro Soffio potente, sicuro, che lo guida e lo travolge: «Voi non siete più sotto il dominio della carne ma dello Spirito… se vivete secondo la carne, voi morirete, se invece con l’aiuto dello Spirito fate morire le opere della carne, voi vivrete» (Rm.8).
Il secondo dono di questa spiritualità è che al posto di maestri che spesso accumulano pesi sopra altri pesi, potete incontrare un amico che vi aiuti a liberare il soffio dagli intralci che lo tengono schiavo. Vi aiuterà, se il soffio si muove in lui, con libertà. Allora la morte non esiste più. Il solo maestro che noi dobbiamo riconoscere come l’unico, Gesù; a Nicodemo che gli chiede timidamente di essere il suo direttore spirituale, risponde: «II vento soffia dove vuole, e ne senti la voce, ma non sai da deve viene ne dove va» (Gv.3,7). Accogliere nel silenzio e meditare queste parole e farle metodo della nostra preghiera e della nostra crescita nell’amore, vuol dire liberarci definitivamente dalla morte. Allora è da adulti aver paura del nulla?