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Brigate rosse, la bestia nera che trascina i conflitti sociali

di Giuseppe AnzaniGli arresti compiuti a Milano, Padova, Torino e Trieste, che hanno portato in carcere diecine di persone con l’accusa di banda armata e associazione sovversiva, sono un allarme serio e inquietante. Progettavano attentati, avevano nel mirino l´economista Pietro Ichino, gli ex dirigenti della Breda, un’abitazione di Silvio Berlusconi, la sede dell’Eni a San Donato Milanese, le sedi Mediaset e Sky a Cologno Monzese, la redazione del quotidiano Libero. Avevano un covo di armi nel padovano, e altri se ne stanno cercando. Uno di loro, forse un capo, definendosi «militante per la costituzione del partito comunista politico-militare» ha rifiutato l’interrogatorio del giudice dicendosi «prigioniero politico».

Tornano in mente, riemergono dal passato, emozioni di inquieta paura che pensavamo già consegnate all’oblio. Forse non abbiamo trasmesso alla nuova generazione la memoria storica dei lutti che ci colpirono nella stagione scura degli anni di piombo. Non è per richiamare quell’angoscia (negli anni di picco arrivammo a contare una media di 4 attentati al giorno), che ora ridisegniamo sullo sfondo una tragedia passata che ci parve incenerita con la sconfitta delle bande armate; sentiamo lo shock di una ricomparsa di scintille di fuoco dentro quel cumulo di cenere. Quel delirio di potenza che sognò la rivoluzione della vita sociale mediante la violenza e il sangue non è dunque scomparso. Il suo seme riaffiora, rampolla velenosi virgulti. Ancora insegue i propositi di lotta contro ciò che la sua ideologia tramandata vede come il Grande Male (la distruzione dello «Stato imperialista delle multinazionali») e li avvita nel corto circuito della violenza criminale e distruttiva, dove la fantasticata palingenesi annega nel gorgo di una disperazione omicida e suicida.

Siamo stati scottati abbastanza per non cadere più nell’errore di sottovalutazioni. Oggi ci sgomenta sapere che metà degli arrestati sono sindacalisti della Cgil. Ma negli anni di piombo i sindacati fecero diga contro il terrorismo; e la fermezza dell’attuale ripudio ci rassicura che su questa frontiera esposta al disagio e al conflitto si è capito che la violenza terrorista nuoce più di tutto ai lavoratori; la perversa scelta dei bersagli, l’uccisione dei mediatori e pacificatori (l’omicidio D’Antona, l’omicidio Biagi) lo dimostra. Le mele marce però vanno levate d’anticipo. Del pari, allarma la sodalità che apparenta altri arrestati a certi «Centri sociali» che non sembrano proprio dedicati ad educare alla cultura della legalità. A Vicenza, dove tutto il resto si è svolto in esemplare correttezza, si è visto uno striscione demente in favore dei «compagni di lotta».

Questa idea compulsiva della lotta, che i cattivi maestri hanno teorizzato nella sventurata storia dell’eversione, e che ora a tratti si rinfocola, è la bestia nera che trascina i conflitti sociali – risolvibili nella dialettica democratica – nel vortice insanguinato della violenza. Basta, abbiamo sofferto già troppo, non ci faremo travolgere ancora dai cervelli folli di cui il terrorismo è il braccio armato criminale.