Opinioni & Commenti

L’Europa a soli 50 anni rischia di uscire dalla storia

di Romanello Cantini

Il cinquantenario della nascita della comunità europea ha provocato non solo commemorazioni, ma anche bilanci e celebrazioni più o meno soddisfatte con qualche delusione. Certamente i trattati che cinquant’anni fa furono firmati da uomini come Adenauer, Spaak, Pineau e Segni, mentre alle sei del pomeriggio del 25 marzo tutte le campane di Roma suonavano a festa, hanno iniziato un’opera in cui per la prima volta la volontà umana ha capovolto la storia di un intero continente. Dopo due guerre scoppiate in Europa che costarono al mondo settanta milioni di morti c’è oggi una generazione di europei ultrasessantenni che non ha mai visto una guerra. Nel momento in cui questa generazione nasceva non c’era rimasta in Europa altra democrazia che l’Inghilterra mentre oggi la forza di attrazione dell’Europa è riuscita a convertire alla democrazia paesi usciti sia dal fascismo che dal comunismo.

Con la comunità europea l’interscambio fra i vari paesi è aumentato di venti volte. I camion non fanno più la coda alle frontiere per pagare il dazio e i turisti non devono fare la fila al cambio per convertire le loro monete. Eppure, nonostante questi risultati, l’Europa che era nata più nella mente degli statisti che in quella degli economisti funziona oggi soprattutto sul piano del mercato. È inflessibile nell’imporre privatizzazioni, nel reprimere gli ostacoli alla concorrenza, nell’innalzare il tasso di sconto, nel costringere dentro i parametri del debito pubblico. Anche se non sappiamo più se la politica agricola comune sia un bene o un male perché non riusciamo a trovare una soluzione che salvi le nostre campagne e non danneggi i paesi del Terzo Mondo, gli euroscettici si divertono a prendere in giro l’interventismo minuzioso dei burocrati di Bruxelles che pretendono di regolare il solito diametro della banana e la curvatura del cetriolo.

E mentre l’Unione è così invasiva sul piano economico è spesso troppo latitante in altri settori. Non riesce ad avere una politica comune. Non riesce a dire una sola parola sul piano sociale. E infine, l’Europa che pure nacque sul lavoro di statisti di ispirazione cristiana sembra sempre più tentata dalla deriva laicista. Come per l’ennesima volta ha ricordato il Papa, non si sono volute riconoscere nella Costituzione europea le «radici cristiane». C’è una sorta di giacobismo di ritorno che viola non solo la tradizione europea, ma anche il principio di sussidiarietà per cui, come ha ricordato il cardinale Scola, il Parlamento europeo ha preteso di legiferare sulla famiglia intervenendo per chiedere le unioni di fatto e il riconoscimento del matrimonio fra omosessuali. Il colmo di questo metodo da vecchia monarchia assoluta si è forse avuto cinque anni fa quando l’europarlamento ha votato la risoluzione che pretendeva di imporre alle chiese il sacerdozio femminile.

Seduto sopra i grandi risultati il fenomeno Europa sembra ora soffrire di una sorta di crisi da andropausa per cui non è più contento del suo passato e non ha voglia di fare ancora progetti per il futuro. Il disincanto rispetto ai valori e agli ideali di fondo si riflette, come ha ricordato il Papa, in una società civile che di fatto riduce il suo futuro riducendo i figli. Così, ha ammonito ancora il Papa, l’Europa rischia di uscire dalla storia. Ed in effetti all’inizio del secolo scorso su quattro abitanti del pianeta uno era europeo, mentre fra venti anni solo un uomo su quindici apparterrà all’Europa. E c’è il timore che sarà un europeo che si vergogna di esserlo o che addirittura non ha più la coscienza di esserlo perché ha smarrito per strada la sua identità.