Opinioni & Commenti
Telecom e le privatizzazioni senza capo né coda
di Giovanni Pallanti
In Italia la privatizzazione delle industrie di Stato ha funzionato così: lo Stato ha venduto quote azionarie delle industrie di Stato ai privati che le hanno spolpate ben bene e poi le hanno chiuse o hanno tentato di rivenderle allo Stato. Alcuni esempi: la SME. Il presidente dell’IRI Prodi stava per svenderla sottocosto all’Ing. Carlo De Benedetti. L’operazione fallì per il veto posto all’operazione dal presidente del Consiglio dei ministri Craxi. Mentre sempre il prof. Prodi riuscì a vendere l’Alfa Romeo alla Fiat ad un prezzo super simbolico. La FIAT, industria privata italiana, nella sua lunga storia ha sempre privatizzato i profitti a favore della proprietà (famiglia Agnelli) e sempre socializzato i debiti a carico di tutti i cittadini. Questo soprattutto è avvenuto dalla fine della seconda guerra mondiale fino a pochi mesi fa.
Il Governo Prodi e in modo più incisivo e concreto il Governo D’Alema, hanno dato il via alla privatizzazione della Telecom. Dando un ulteriore contributo allo smantellamento delle industrie di Stato che, con i governi a guida democristiana, hanno fatto decollare l’Italia da paese povero e rurale fino alle prime cinque potenze industriali del mondo. La sinistra italiana ha pagato la sua ascesa al potere con lo sposalizio delle «privatizzazioni» delle industrie di proprietà dello Stato a favore dei capitalisti italiani. Siccome i capitalisti italiani sono senza capitali e usano le banche come finanziatrici totali delle loro più o meno spericolate operazioni industriali, il risultato che si è raggiunto è quello di avere alcune industrie di base, soprattutto nel campo delle infrastrutture e dei servizi, degne di un Paese in via di sviluppo e non di una grande potenza industriale.
Questa sorte è toccata alla Telecom quando il Governo D’Alema ne favorì la vendita all’industriale Colaninno e ai capitani coraggiosi (veri e propri corsari della finanza) di Brescia come Gnutti. La cordata Colaninno-Gnutti ha rivenduto questa industria della bolletta (alla Telecom sono milioni gli utenti che tutti i mesi pagano in valuta pregiata il servizio ricevuto, nessuna attività imprenditoriale ha una rimessa continua di soldi liquidi di questo tipo) a Tronchetti Provera presidente della Pirelli. Il risultato è stato catastrofico: dentro la Telecom è stata scoperta una centrale spionistica privata con presumibili finalità ricattatorie nei confronti di politici e imprenditori in Italia e forse non solo in Italia. Tronchetti Provera che si dichiara estraneo a questa attività spionistica voleva vendere la telefonia fissa e mantenere per sé quella mobile (telefonini). Il perché è molto chiaro: la rete fissa italiana è fatiscente. Tutta da rifare. È previsto a questo scopo l’investimento di 10 mila milioni di euro. Troppo per un capitalista senza soldi come Tronchetti Provera. Da qui il piano di vendita per la telefonia fissa inventato dal consigliere economico di Romano Prodi, Angelo Rovati, che voleva farla comprare dalla Cassa depositi e prestiti dello Stato italiano. Prodi smentì tutto e Rovati si è dimesso da consigliere economico di Palazzo Chigi.
Poi sono venute fuori delle proposte di acquisizione dell’intera Telecom da cordate italiane e straniere. L’americana AT&T si è ritirata dicendo che la politica interferisce troppo nell’economia italiana. Ora si cerca di far comprare a una cordata italiana: si sono fatti i nomi di Berlusconi e Colaninno. Una coppia inedita che rasenta il ridicolo politico. In Francia e in Germania le industrie strategiche vedono ancora oggi una forte presenza dello Stato nella proprietà. Siamo sicuri che l’Italia possa andare avanti in queste privatizzazioni senza capo né coda? Privatizzazioni che ad oggi sono andate a decremento del prestigio dell’Italia senza che gli utenti ne abbiano tratto un qualche beneficio.