Opinioni & Commenti
Dopo Verona: la Nota, punto di partenza sulla via del rinnovamento
di Giuseppe Savagnone
Non è possibile dare in poche righe un resoconto adeguato di un documento ampio come la Nota pastorale dei vescovi italiani dopo Verona. In questa sede possiamo solo evidenziare, «a caldo», alcuni elementi.
Innanzi tutto, l’opportuna insistenza sulla scelta del Convegno «di articolare i lavori in alcuni ambiti fondamentali intorno a cui si dispiega l’esistenza umana, in qualsiasi età» (n.22), consentendo così di declinare la testimonianza della Chiesa secondo quell’esperienza quotidiana nella quale «tutti possiamo trovare l’alfabeto con cui comporre parole che dicano l’amore infinito di Dio» (n. 12). Una scelta profetica, questa di Verona, che potrebbe orientare la pastorale di diocesi e parrocchie. Da evidenziare anche la giusta preoccupazione dei vescovi di puntare sulla formazione, facendo sì che in particolare la parrocchia possa essere «una palestra di educazione permanente alla fede e alla comunione, e perciò anche un ambito di confronto, assimilazione e trasformazione di linguaggi e comportamenti» (n.12).
Importante il riconoscimento di «una forte istanza di rinnovamento» presente nelle comunità ecclesiali, e da cui il documento trae la conclusione che «occorre impegnarsi in un cantiere di rinnovamento pastorale» (n.21). Si indicano per questo tre prospettive. La prima è il primato della persona e della vita, la seconda la qualità delle relazioni all’interno delle comunità, la terza la corresponsabilità tra i diversi soggetti della pastorale.
Si può collegare alla prima prospettiva la grande tematica della verità dell’uomo, che rimanda a quelle della verità come tale (cfr. n.15) e del rapporto tra fede e ragione, su cui la Nota insiste molto, proponendo a questo proposito di dare «un nuovo impulso al Progetto culturale» (n.13).
Per quanto concerne la seconda e la terza prospettiva, che appaiono strettamente collegate tra di loro, il documento constata che «gli organismi di partecipazione ecclesiale e anzitutto i consigli pastorali diocesani e parrocchiali non stanno vivendo dappertutto una stagione felice» (n.24). E poco dopo si aggiunge: «Riconoscere l’originale valore della vocazione laicale significa, all’interno di prassi di corresponsabilità, rendere i laici protagonisti di un discernimento attento e coraggioso, capace di valutazioni e di iniziativa nella realtà secolare, impegno non meno rilevante di quello rivolto all’azione più strettamente pastorale. Occorre pertanto creare nelle comunità cristiane luoghi in cui i laici possano prendere la parola, comunicare la loro esperienza di vita, le loro domande, le loro scoperte, i loro pensieri sull’essere cristiani nel mondo» (n.26).
C’è qui, evidentemente, un serio sforzo di prendere atto dei tanti sintomi di disagio peraltro mai vissuti in chiave meramente distruttiva, ma accompagnati da forti sollecitazioni positive emersi nei lavori di Verona e in larga misura riguardanti la condizione del laicato nelle nostre Chiese. Dalle relazioni di Paola Bignardi, da quella di Savino Pezzottta, dai gruppi di lavoro, questi segnali si sono ripetuti e richiamati a vicenda. Forse nel documento avrebbero dovuto trovare una maggiore eco. Così come sarebbe stato auspicabile una maggiore concretezza nell’indicare delle prospettive di soluzione, per evitare il rischio, sempre in agguato, che le parole rimangano tali. Ma, già così, la Nota potrebbe essere un punto di partenza sulle cui piste procedere al «rinnovamento» da essa proposto. Ora spetta a tutti, ognuno secondo il proprio ruolo nella Chiesa, far sì che l’attesa si trasformi in realtà.