Opinioni & Commenti
Russia, Putin nuovo zar? Ma la storia non dà il bis
di Romanello Cantini
Ora che Putin ha stravinto come da copione le elezioni, molti si domandano se dietro la Russia di domani non ci sia di ritorno l’URSS di ieri. Ma la storia non dà bis e il passato non si ripete così banalmente. In Russia c’è un partito solo al governo, ma non c’è il partito unico. Gli oppositori passano qualche giorno in un commissariato, ma non vanno in Siberia. Il governo ha in mano ciò che più conta, dal gas alla televisione, ma non c’è la nazionalizzazione di tutti i mezzi di produzione. Soprattutto alla Russia di oggi manca la tensione internazionalista che fu propria della Russia sovietica e perfino quella proiezione esterna verso il mondo slavo che fu propria della Russia degli zar.
L’orgoglio ritrovato della Russia di oggi è soprattutto un orgoglio nazionalista che si consuma nel suo senso di isolamento e nella sua nevrosi di stato d’assedio. È un patriottismo più antico che postmoderno che si nutre del senso di singolarità e della inconciliabilità dello spirito russo di fronte all’Occidente e che non è specifico solo degli ex-comunisti, ma anche del grande dissenso anticomunista da Solgenitsin a Bukovskij.
Il successo di Putin con il prepotere dei mezzi di informazione, il boicottaggio e l’intimidazione degli avversari anche al di là di eventuali brogli è stato un risultato obbligato, ma certo non spiacevole per gran parte del popolo russo. Il richiamo ad un passato di grandezza qualunque sia, il vanto dì aver portato la Russia fuori dal caos dell’immediato postcomunismo, qualche fetta di benessere che si fa vedere sull’onda della manna petrolifera, nonostante enormi diseguaglianze, hanno fatto la fortuna di Putin. E il suo successo è semmai inquietante perché si misura sull’onda di quei superbi fondamentalismi sempre più frequenti che fioriscono dalle ceneri dei grandi imperi sepolti.
Per questo motivo il futuro della Russia è tutto da indovinare. Il paradosso di oggi sta nel fatto che in teoria Putin fra breve dovrebbe andarsene dopo aver stravinto. Il senso del plebiscito sta soprattutto in questa invocazione a non andarsene e in questa devozione vitalizia al capo in un paese in cui perfino le rivolte in passato si facevano in nome dello zar e in cui fino a venti anni fa dal Cremlino si usciva solo dentro una bara.
Non sappiano la formula che s’inventerà per mantenere Putin al potere con una terza presidenza che gli è proibita per legge. Forse una modifica della costituzione, forse la creazione di una autorità al di sopra delle autorità come accadde per la consacrazione degli zar, forse la carica di segretario del partito che era il vero potere nel sistema comunista. Certo è che non cesseremo di sentire parlare di Putin. E il mondo esterno deve imparare a convivere con un uomo che non rappresenta più l’altra metà del mondo, ma è pur sempre il padrone della seconda potenza nucleare, di uno stato membro del Consiglio di sicurezza, del distributore dell’energia a buona parte dell’Europa e dell’Asia. Senza corteggiarlo troppo come è accaduto in passato, senza isolarlo troppo come forse si cerca di fare oggi.