Opinioni & Commenti
Il «Miracolo a Sant’Anna» e i limiti della verità
di Franco Cardini
E’ vero, la scuola è in crisi: e non soltanto in Italia. Ma troppi fra noi credono che la crisi sia una questione che dipende solo dagli insegnanti che non sono da tempo reclutati più con rigore, che sono poco preparati, che d’altronde non hanno più il posto sicuro e che prendono stipendi vergognosi, dalle aule che non ci sono, dai mezzi che mancano, al massimo ed è già qualcosa dall’abbassarsi dei livelli dell’insegnamento e dell’apprendimento e magari dalla mancanza o carenza di disciplina, di senso della responsabilità, di rispetto.
Certo, ci sono tutte queste cose. Ma c’è alla base molto di più: e di peggio. La crisi dei contenuti dell’insegnamento. Non parliamo, per carità, delle ridicole «tre I», formula magica del governo Berlusconi II (Inglese, Impresa, Informatica), che per fortuna hanno avuto il grande pregio di restar lettera morta. Parliamo per esempio dei programmi di storia, oggetto di continue polemiche e di continue riforme destinate a fallire. La storia non è una «scienza pura« (ammesso che ce ne siano): è una scienza il cui insegnamento è entrato nella scuola per un motivo precisamente civico: si dovevano educare i cittadini del futuro. La storia avrebbe dovuto proporre modelli e predisporre a pubbliche virtù. È evidente che, dopo le «pubbliche virtù» che facevano comodo all’Italietta e al fascismo, e che comunque comportavano un minimo di progetto, c’è stato nel nostro paese ben poco da proporre. Il risultato? Dopo le varie ubriacature delle mode (ricordate i manuali alla Ceserani o alla Guarracino?), siamo tornati a un insegnamento piatto, convenzionale, arretrato nei metodi e nei contenuti: e non che non ci siano, intendiamoci, validi manuali e buoni professori. Ma la società è quella che è, i mass media sono quello che sono. Prendiamo un solo esempio: lo «scandalo» della celebrazione romana del 20 settembre, con un generale italiano che «osa» rendere omaggio ai caduti delle truppe pontificie e il sindaco che «tace»: orrore e raccapriccio. E nessuno che si sia preso la briga (tanto meno i cattolici: figuriamoci!) di contestare l’immagine storiche che s’intravedeva attraverso tutto quel drammatico stracciamento di vesti. Quella di uno stato pontificio considerato ancora «arretrato», «repressivo», «corrotto» eccetera. Eppure, basterebbe un’occhiata seria a qualche buon testo di politica internazionale o di storia dei trattati per rendersi conto di come la presa di porta pia fu un brigantaggio internazionale bello e buono. E non si capisce poi perchè tanti bravi liberali (magari anche «cattolici») se la prendano tanto con la Cina che, nel nome di un’autoreferenziale diritto storico alla sua unità territoriale, ha invaso e annesso il Tibet. Nel 1870, il regno di Piemonte precipitosamente divenuto regno d’Italia si comportò esattamente nella stessa maniera. Perchè mai dovremmo celebrare un atto di violenza, l’infrazione dei diritti di uno stato sovrano?
Faccio notare queste cose perché è degli ultimi giorni l’ennesimo «scandalo» contro un film (Miracolo a Sant’Anna) che distorce la verità storica. Altri scandali, precedenti ad esso, erano nati a proposito di romanzi che distorcevano la storia. Anche da queste colonne si parlò, mesi fa, dell’indecorosa caricatura del medioevo quale viene presentata nell’ultimo best seller di Ken Follett. Ma è lecito a romanzi, a film, a fiction, il tradire e lo stravolgere la storia? Ora, questo è il punto. Anzitutto, né un romanzo, né un film, nè una fiction hanno di per sé il dovere di restar fedeli alla verità storica, quando càpiti loro di confrontarsi con essa. Esistono gli spettacoli d’intrattenimento e di pura fantasia, per non parlare della fantasy vera e propria. Chi cerca la verità storica nelle riduzioni cinematografiche dei romanzi di Tolkien, in quelli che hanno come protagonista Harry Potter, in quelle dedicate alle gesta di Rambo o di 007 o di Indiana Jones o dell’Uomo-Ragno? Eppure, attenzione, un certo legame con la storia c’è: in ciascuno di essi, e alla maniera di ciascuno. Esistono poi anche i film e i romanzi «ucronici», «controfattuali»: come Fatherland di Harris, con un Hitler vincitore della guerra e ultrasettantenne. La libertà della storia sta nel fatto che ogni studioso di essa sceglie il periodo e l’argomento sul quale cimentarsi con le sue ricerche scientifiche. la libertà dell’autore di romanzi e del soggettista di film e di fiction sta nel poter demiurgicamente trattare il passato storico come una materia plasmabile nelle sue mani, miscelandolo magari con altri ingredienti. Si può proibirglielo?
Evidentemente, no. Si può solo richiedere quel che le Associazioni dei consumatori pretendono dai prodotti immessi sul mercato: che ingredienti e metodi di preparazione vengano indicati scrupolosamente, e bene in vista.
Esistono, certo, romanzi, film e fiction che pretendono di ricostruire momenti storici. Qui, le garanzie dovrebbero essere massime: a cominciare dai consulenti scelti e dai documenti utilizzati. Ormai si fanno chilometrici titoli di testa e di coda per informare sulle musiche, le luci, gli effetti speciali e così via. Perché nemmeno una riga sull’attendibilità storica?
Ci sono poi romanzi, film e fiction che propongono «storie romanzate». Ben vengano anch’essi. Ma in questo caso la verità storica e l’invenzione debbono essere non solo ben dosati, ma anche chiaramente ed evidentemente riconoscibili. Nei Promessi sposi, tanto per fare il caso che tutti gli italiani che hanno fatto un po’ di scuola dovrebbero conoscere, il discorso è chiaro: il Seicento lombardo è scrupolosamente ricostruito come poteva apparire a uno storico di metà Ottocento e anche la vita quotidiana fino agli oggetti e ai paesaggi: meno, forse, quanto ai sentimenti… vi è ritratta con attenzione e attendibilità. Dentro a questo «stampo storico» accettabilmente preciso, si è «colata» la storia di fatti e di persone fittizie, di fantasia: ma una fantasia sempre sorvegliata dal senso storico e sottomessa alle leggi della storia. In modo che, come si direbbe oggi, l’irruzione della fantasia è stata il meno possibile «invasiva» nei confronti della realtà storica. Viene davvero violentata la verità sul cardinal Federico Borromeo dal fatto che ci s’immagini che egli abbia speso una mattinata in un colloquio con tal don Abbondio, personaggio mai esistito? Evidentemente, no: se argomenti, temi e caratteri del dialogo fra i due hanno rispettato il quadro storico generale. Con queste premesse, si fanno dei buoni romanzi storici: anche se non è poi detto che tutti i buoni romanzi storici siano anche dei romanzi buoni; ma questo è un altro paio di maniche.
Per far questo, però, bisogna avere buona cultura storica e molta onestà intellettuale: due doti rare di per sé, rarissime in coppia. E non dimentichiamo, infine, che non stiamo qui parlando di verità tout court, bensì soltanto umilmente di «verità storica», quella elaborata dai ricercatori professionisti e soggetta al mutar degli strumenti di ricerca e delle prospettive intellettuali da cui il passato viene considerato. La verità storica muta si può dire a ogni generazione: e non perchè muti il passato in sé, ma perché mutano i punti di vista da cui viene guardato e, soprattutto, perchè cambiamo noi. Esigete quindi sempre adesione alla realtà quale la storia la presenta, ma sappiate che quella che possediamo è imperfetta e che la storia non è per nulla un «tribunale» che assolva o che condanni. La realtà storica è, e soprattutto deve rimanere, sempre «aperta»: e non c’è polemica contro il «revisionismo» che tenga, perchè la storia seriamente indagata o è revisione continua o non è niente. Le nostre «verità», comunque verificate e comprovate, hanno sempre poco a che fare con la Verità.