Opinioni & Commenti
Dalla parte dei cristiani perseguitati
di Fabio Zavattaro
Il primo appuntamento è stato a San Paolo fuori le mura, lì Papa Benedetto ha voluto aprire il Sinodo dei vescovi. Luogo simbolo la basilica dell’apostolo delle genti, colui che per primo ha scelto di portare la Parola di Dio nelle più lontane latitudini. Domenica 26 ottobre, i lavori sinodali si sono chiusi nella basilica vaticana: San Pietro, la roccia sulla quale Gesù ha voluto edificare la Chiesa. Luoghi simbolo che trovano forza nel primo e più grande comandamento della legge divina: il comandamento dell’amore. «Un amore testimoniato concretamente nei rapporti tra le persone», dice il Papa. Rapporti che sono «di rispetto, di collaborazione, di aiuto generoso. Il prossimo da amare è anche il forestiero, l’orfano, la vedova, l’indigente, quei cittadini cioè che non hanno un difensore».
Come si traduce oggi, nella realtà della vita dei cristiani, questo amare il prossimo? Certamente ha come punti di riferimento tutte quelle realtà che non hanno voce, che non trovano ascolto nel mondo segnato da difficoltà e debolezze. Come coloro che non sono considerati nemmeno cittadini di «serie B», come i senza casta in India: i Dalit. È a loro che si rivolge l’attenzione di una Chiesa che guarda all’altro come a un fratello, che lo accoglie e lo sostiene anche se appartiene ad un’altra Confessione, ad un’altra cultura. E poi c’è il Medio Oriente, l’Iraq dove, per colpa di gruppi fondamentalisti, è sempre più difficile professare liberamente la propria fede se diversa dall’Islam.
Così fa proprie, il Papa, le parole dei Patriarchi delle Chiese orientali, un appello «per richiamare l’attenzione della comunità internazionale, dei leader religiosi e di tutti gli uomini di buona volontà sulla tragedia che si sta consumando in alcuni Paesi dell’Oriente, dove i cristiani sono vittime di intolleranze e di crudeli violenze, uccisi, minacciati e costretti ad abbandonare le loro case e a vagare in cerca di rifugio».
Così Papa Benedetto guarda non solo all’India ma anche all’Iraq. Queste comunità, queste Chiese non chiedono privilegi «ma desiderano solo di poter continuare a vivere nel loro Paese e insieme con i loro concittadini, come hanno sempre fatto». Le violenze che le cronache, soprattutto nello Stato indiano dell’Orissa, raccontano quasi ogni giorno non hanno, dunque, cittadinanza e non solo perché la violenza e il non rispetto dell’altro non dovrebbero mai averla; ma proprio perché si tratta di uomini e donne che vivono le stesse ansie e le stesse preoccupazioni, e dividono le stesse gioie. L’appello del Papa è ai responsabili delle nazioni, alle autorità religiose ai quali chiede di non risparmiare gli sforzi «affinché la legalità e la convivenza civile siano presto ripristinate e i cittadini onesti e leali sappiano di poter contare su una adeguata protezione da parte delle istituzioni dello Stato». Ancora, chiede loro «gesti significativi e espliciti di amicizia e di considerazione nei confronti delle minoranze cristiane o di altre religioni» e la difesa «dei loro legittimi diritti». L’amore, dunque, è la cifra di questa capacità di essere insieme costruttori di un mondo nuovo dove l’altro, per diversità di fede, cultura, etnia, non è un nemico ma un fratello. Certo è un amore «che accetta anche le dure prove per la verità della parola divina»; ma è soprattutto l’amore «che tutto supera, tutto rinnova, tutto vince».
Parole che Benedetto XVI pronuncia nell’omelia alla messa conclusiva del Sinodo dei vescovi. Ed è proprio in questa sua riflessione che rivolge un pensiero alla Chiesa in Cina, sempre presente nei cuori e nelle parole dei Papi: Giovanni Paolo II nel 1995 da Manila inviò un messaggio alla Chiesa, al popolo e alle autorità cinesi. Ancora prima Papa Paolo VI, nel suo viaggio nelle Filippine, si rivolse al Paese e al Continente con una sola parola: amore. Benedetto XVI è intervenuto più volte per dire la sua apprensione per questa Chiesa che vive divisa e perseguitata. Da San Pietro ricorda che i vescovi non hanno potuto essere presenti al Sinodo, ma «essi sono presenti nella nostra preghiera, insieme con tutti i fedeli che sono affidati alle loro cure pastorali». Così chiede a Dio «di dare ad essi gioia, forza e zelo apostolico per guidare con sapienza e lungimiranza la comunità cattolica in Cina».