Opinioni & Commenti
Trapianti, un dono nel rispetto di delicati principi etici
di Marco Doldi
Questo non sarebbe mai potuto avvenire se l’impegno dei medici e la competenza dei ricercatori non avessero potuto contare sulla generosità e sull’altruismo di quanti hanno donato i loro organi. Per questo, «la donazione di organi è una forma peculiare di testimonianza della carità», che deve avvenire secondo delicati principi etici.
Il Papa ha ricordato che «il corpo di ogni persona, insieme con lo spirito che è dato ad ognuno singolarmente, costituisce un’unità inscindibile in cui è impressa l’immagine di Dio stesso». Ogni uomo è segnato dal Mistero di Dio. Ne consegue il rispetto per la dignità della persona e la tutela della sua identità personale.
Questo principio, applicato alla tecnica del trapianto di organi, significa che si «può donare solamente se non è mai posto in essere un serio pericolo per la propria salute e la propria identità e sempre per un motivo moralmente valido e proporzionato». È contro la logica del dono ogni violenza perpetuata al fine di avere organi a disposizione.
Molte volte l’espianto di organi avviene da un paziente, di cui è stata accertata la morte: è un gesto di totale gratuità. In questi casi, perché il trapianto abbia la caratteristica di un dono e non sia interpretato come un atto coercitivo o di sfruttamento, è fondamentale che sia certa la volontà del donatore, manifestata anche dai parenti.
Fondamentale e delicato è il momento in cui procedere all’espianto degli organi vitali: i singoli organi vitali non possono essere prelevati che «ex cadavere», il quale, peraltro, possiede pure una sua dignità che va rispettata. Quando si può procedere? La scienza, in questi anni, ha compiuto ulteriori progressi nell’accertare la morte del paziente. Giovanni Paolo II, ricevendo nel 2000 i partecipanti al Congresso internazionale dei trapianti, ricordava come la scienza, attraverso i criteri di accertamento offra una modalità sicura per «rilevare i segni biologici della già avvenuta morte della persona».
Così, in questi ultimi decenni, dai segni cardio-respiratori ci si è orientati al cosiddetto «criterio neurologico», vale a dire spiegava Giovanni Paolo II alla rilevazione, «secondo parametri ben individuati e condivisi dalla comunità scientifica internazionale, della cessazione totale ed irreversibile di ogni attività encefalica, in quanto segno della perduta capacità di integrazione dell’organismo individuale come tale».
Ora, evidentemente, la Chiesa non fa opzioni scientifiche, ma chiede ha detto Benedetto XVI che i risultati raggiunti ricevano il consenso dall’intera comunità scientifica, così da favorire la ricerca di soluzioni che diano certezza a tutti. «In un ambito come questo, infatti, non può esserci il minimo sospetto di arbitrio e dove la certezza ancora non fosse raggiunta deve prevalere il principio di precauzione».