Opinioni & Commenti
Sulla vicenda dei vescovi seguaci di Lefebvre l’umiltà e la franchezza fraterna di un Papa
di Giuseppe Savagnone
La lettera indirizzata da Benedetto XVI all’episcopato di tutto il mondo (testo integrale), per spiegare la sua scelta di rimettere la scomunica ai vescovi seguaci di Lefebvre, ha colto tutti di sorpresa. Perché quello che il Sommo Pontefice ha inviato non è uno dei consueti documenti ufficiali, in cui si esprime l’autorità del Capo della Chiesa, bensì uno scritto personalissimo, steso in un tono colloquiale con una sincerità perfino imbarazzante. Vi si possono leggere, tra le righe, i giorni di tensione e di amarezza vissuti dal Papa in solitudine, sotto l’infuriare delle critiche e delle polemiche, ma anche la volontà di confrontarsi, uscendo dalle regole dell’etichetta vaticana, riconoscendo anche i propri errori di comunicazione.
Perché è questo che Benedetto XVI, senza mezzi termini, fa nel suo messaggio. Dopo aver definito «una disavventura ( ) che posso soltanto deplorare profondamente» la circostanza, a lui ignota, del negazionismo di mons. Williamson, egli ammette: «Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestare più attenzione a quella fonte di notizie».
«Un altro sbaglio, per il quale mi rammarico sinceramente, consiste nel fatto che la portata e i limiti del provvedimento del 12 gennaio 2009 [la remissione della scomunica] non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione». Se ciò fosse stato fatto, si sarebbe capito, spiega il Papa, che togliere la scomunica non significava in alcun modo riammettere nella Chiesa il movimento scismatico lefebvriano che continua a essere dottrinalmente distante dalla Chiesa per il suo rifiuto del Concilio Vaticano II , ma solo fare un gesto di misericordia e di apertura, volto a favorire la riconciliazione con un gruppo che sbaglia, ma che è pur sempre costituito da fratelli. «Può lasciarci indifferenti», chiede il Pontefice appassionatamente, «una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa?».