Opinioni & Commenti
Terremoto in Abruzzo, ciò che non crolla
Confitti sulla croce ma non sconfitti. Questa frase mi ritorna spesso alla mente mentre fisso gli sguardi ancora carichi di pianto di questo nostro popolo. Molti di essi hanno perso tutto: la propria casa, i propri averi, i figli, gli affetti. Ma soprattutto si sono visti crollare tutte quelle certezze che rendono la speranza più facile quando il cielo è sereno.
Ore 3.32, una manciata di secondi e tutto ciò che conoscevamo non c’è più. Poche ore prima le nostre chiese e le nostre piazze erano ancora gremite di gente, di giovani universitari che si congedavano dalla nostra splendida città per tornare nelle proprie famiglie. Alcuni di loro non sono tornati e non torneranno più. Mentre abbracciavo le loro mamme e i loro papà, mentre vedevo gli occhi stanchi di pianto, mi rendevo conto che questi miei occhi, queste mie mani toccavano Cristo crocifisso. Questa tragedia è stata scandita dai giorni della Settimana Santa. E mai, come quest’anno, abbiamo capito sulla nostra pelle il significato di quella passione e di quella morte. Il buio, lo smarrimento, il dolore atroce per chi rimane. E poi il silenzio. Lo stesso silenzio di chi non ha più parole davanti ad una realtà che supera l’immaginazione. Un po’ delusi e un po’ sconsolati vorremmo allontanarci da questo scenario, ma come Maria Maddalena continuiamo ad aggirarci irrequieti davanti al sepolcro sigillato di questa immane tragedia. È il nostro cuore che non vuole accettare che tutto sia davvero finito. Dio non è lontano. Dio è qui sotto queste macerie, tra queste ferite insanabili e ingiuste di case nuove crollate come grissini e di palazzi gloriosi che non hanno retto la furia di un terremoto che per la quinta volta ha raso al suolo la città e il contado de L’Aquila.
E ti domandi: perché io sono in vita? Perché? Un passo biblico letto la notte di Pasqua così recita: Non morirò, resterò in vita e annunzierò le opere del Signore. E forse è questa la nostra vera responsabilità: quella di raccontare, quella di testimoniare che la morte, il dolore, la croce non hanno avuto e non avranno l’ultima parola su di noi. Questo popolo abruzzese, questo popolo aquilano ha pianto i suoi morti, ha pianto le sue case, ma non piangerà mai su se stesso. La dignità, l’audacia e la fede forte di questa gente saprà rialzare tutto ciò che è caduto, e trasformerà questa disgrazia in grazia.
Ora vorremo solo che la primavera arrivasse per davvero. Mentre il freddo ancora accompagna queste notti passate all’aperto. Ho raccolto la nostalgia di centinaia di persone sfollate in altre città, ospiti di fortuna di parenti e di alberghi stracarichi di famiglie che non hanno più nulla. Ma mentre accade tutto questo, un’ondata di solidarietà ci raggiunge da ogni dove. Sono le preghiere, i pensieri, gli aiuti, il denaro di tanti che si sentono vicini alla nostra sofferenza. Non è vero che il mondo è pieno solo di gente egoista. Il mondo è pieno anche di tanta gente di buona volontà, che senza proclami e senza far rumore si è piantonata sotto le pendici del nostro calvario. E poi la sofferenza è una grande maestra anche di questi tempi. Ci costringe a tenere i piedi ben saldi sulle cose essenziali, senza perdere tempo su cose per cui non vale la pena vivere. Oggi, e forse solo oggi, ci rendiamo conto che solo l’amore rimane in piedi, al di là di ogni sciagura. I terremoti possono tirare giù le case, fare delle vittime, mettere in ginocchio un intero popolo ma non possono far crollare l’amore. L’amore è più grande delle pietre delle nostre case, persino degli archi delle nostre chiese. L’amore è più grande anche della morte. E le persone che ci sono state tolte non le abbiamo perse veramente. L’amore travalica il guado di questa vita terrena che comunque finisce anche senza l’aiuto dei terremoti. Non possiamo permetterci di sprecare quest’occasione. Non possiamo lasciare che tutto questo ci pesi semplicemente addosso. In realtà questa atrocità deve renderci migliori, deve farci tornare a vivere, non a sopravvivere. È questo il segno del Risorto dentro la nostra vita: portare le piaghe di questa passione ma rimanere in piedi davanti ad essa. Crocifissi ma non sconfitti.
Ed anche a noi è rivolto l’invito dell’angelo della risurrezione: non cercate tra i morti Colui che è vivo. Cioè non dobbiamo ripiegarci su noi stessi, ma dobbiamo andare avanti. Non è salmodiando il nostro dolore che lo risolveremo ma solo affrontandolo a viso scoperto con la certezza che accanto al nostro possibile c’è tutto l’impossibile di Dio. Questa è l’ora della fede. È l’ora in cui nel buio di ciò che stiamo vivendo solo la fede in Cristo rischiara il cammino e rende sopportabile la fatica di questa salita. Ma lì in fondo è già l’alba. Si, è Pasqua anche per noi.
Luigi Maria Epicoco – L’Aquila