Opinioni & Commenti

Respingimenti,  le ragioni «alte» del nostro dissenso

di Umberto Santarelli

La vicenda di questi ultimi giorni – dei fuggiaschi dall’Africa intercettati in mare dalla Marina militare e «rinviati al mittente» in forza d’un accordo stipulato con la Libia – sta facendo (giustamente) discutere; e lascia sola la Lega a  felicitarsi di questo suo «capolavoro» gabellato per affermazione solenne di legalità ma deglutito a fatica dai compagni di cordata preoccupati solamente d’evitare spiacevoli (ma non inediti) «ribaltoni». I termini propriamente politici della questione son nitidamente discussi da Giuseppe Savagnone nell’editoriale di questo stesso numero, a cui non c’è assolutamente nulla da aggiungere o da sfumare.

Ciò su cui può esser non inutile cercar di riflettere un momento son le ragioni «alte» del dissenso che come cristiani ci sembra doveroso opporre a questo modo frettoloso e avventato di affrontare un problema enorme, riducendolo – come da un pezzo in qua sta succedendo sempre più spesso – a occasione per una leticata in piazza.

Si parla molte volte – e (almeno all’apparenza) volentieri – della «ispirazione cristiana»: per esaltarne il valore primario da chi vuol farne una regola fondante della propria vita; oppure per riconoscerne comunque la validità (nel contesto pluralistico delle opzioni possibili) da parte di chi, pur non facendola propria, ne riconosce tuttavia la presenza e la rilevanza nel patrimonio genetico della nostra civiltà.

Quali scelte suggerisca (in modo assolutamente univoco) l’ispirazione cristiana per risolvere questo specifico problema non mi sembra difficile da scoprire: basta leggere, anche alla svelta, nel venticinquesimo capitolo del Vangelo di Matteo, quel che accadrà «quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria […] [e] dirà […]: venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno  […] perché io […] ero straniero e mi avete accolto»;  a quegli altri, invece, dirà: «via lontano da me maledetti […] perché […]  ero forestiero e non mi avete accolto». E di fronte alla (comprensibile) meraviglia degli uni e degli altri preciserà che l’accoglienza o il rifiuto  d’un qualunque straniero che abbia chiesto d’esser accolto sono stati in realtà fatti a lui.

Il discorso, a volerlo legger tutto, è  appena un po’ più lungo, ma la sostanza resta questa; e non mi sembra davvero  possibile mettersi a cercare il pelo nell’uovo. Per i cristiani, dunque, la scelta è stata fatta una volta per tutte: a diritto e a rovescio, in termini che non consentono «bravure» interpretative.

Certo, a chi governa tocca la difficile scelta dei modi con cui realizzare questo scopo che resta in sé ineludibile. Ma non è possibile, per chi voglia ispirare cristianamente  la  vita sua e quella della società in cui vive, contravvenire in qualunque modo a una regola così chiara, o allegare scuse (anche se apparentemente eleganti e persuasive) per giustificarne l’eventuale dimenticanza.