Opinioni & Commenti
12 punti per ripartire dalla cultura
di Franco Cardini
L’ intervista rilasciata dall’assessore regionale alla cultura Paolo Cocchi a Lorella Pellis e pubblicata su Toscana Oggi il 20 settembre 2009 (Cinema e arte per una cultura non di rendita), fa una strana impressione. Da una parte abbiamo pareri sensati, impegnati, concreti, espressi da un amministratore serio ed equilibrato: ne risulta il quadro di un’amministrazione regionale molto attenta al «fatto-cultura» e convinta che esso costituisca un dato fondamentale di una regione che non può pretendere di vivere di rendita turistica. Dall’altra abbiamo però la realtà che, bisogna riconoscerlo, va ben al di là delle amministrazioni locali e della loro volontà di una «cultura-cenerentola», alla quale per definizione vanno tutte le lodi e le espressioni d’interesse di questo mondo ma cui si sa bene di non poter assegnare tuttavia se non le briciole dei bilanci.
Cocchi ha perfettamente ragione quando critica l’impostazione dell’attuale governo, ben rappresentata da un’infelice frase del ministro Brunetta (secondo cui i soldi pubblici a sostegno della cultura sarebbero non solo «gettati», ma anche «corruttori»), espressione al tempo stesso d’una concezione dello stato di stampo liberistico-minimalista lo stato deve fare il meno possibile, lasciando semmai libero campo all’iniziativa privata: che, com’è noto, della cultura se ne infischia altamente e di un implicito ma ben radicato pregiudizio riassumibile nel luogo comune secondo il quale «la cultura è di sinistra» e quindi per un governo di centrodestra sarebbe autolesionistico sostenerla. Al contrario: nessun governo, nessuna pubblica amministrazione può esimersi non già dal far una «politica culturale», bensì dal costruirsi e dal perseguire delle «politiche per la cultura». E ciò proprio perché nessun governante e nessun amministratore dovrebbe rinunziare al dovere di assumersi nei confronti della società civile anche un ruolo propositivo e al limite «pedagogico»: non certo quanto ai contenuti culturali, beninteso, ma senza dubbio quanto alla promozione d’iniziative e alla messa a punto d’iniziative, di strumenti, d’infrastrutture.
Cocchi ha indicato elementi e fatti concreti, che senza dubbio sono da continuare: la razionalizzazione e la traduzione in una evidente «politica di sistema» delle moltissime iniziative ed esperienze isolate che si presentano in settori che vanno dal teatro al cinema alle diverse forme d’espressione artistica. Qui non si tratta di moltiplicare i «centri attrezzati», i «musei d’arte contemporanea» e così via dotandone in modo puntiforme, a pioggia, tutto il territorio regionale: sarebbe dispendioso e dispersivo. Si tratta di creare una rete diffusa di centri e di équipes e di fornir loro gli strumenti per poter cooperare scambiandosi esperienze e amplificandone l’efficacia, anziché intralciarsi reciprocamente e ritenersi concorrenti.
Vi sono inoltre iniziative «mirate» che è assolutamente necessario proseguire e rafforzare. Proviamo a elencarle.
1. Sostenere i teatri e i cinema, anziché incentivare il mostruoso sistema delle «multisale» che sono dei supermarkets cinematografici, mentre è intollerabile che ambienti di straordinario rilievo storico (penso a quel gioiello che è il cinema-teatro Odeon di Firenze) languiscono. Una recente iniziativa dell’editore Laterza e del comune di Firenze, proporre alla cittadinanza delle mattinate domenicali incentrate su conferenze dedicate alla storia cittadina, ha ottenuto uno straordinario effetto: migliaia di ascoltatori, risse per accaparrarsi i posti rivelatisi insufficienti. Perché non continuare, magari proponendo films che hanno come sfondo le città toscane, magari accompagnati dai documentari Luce e Incom custoditi a Cinecittà?
2. Intensificare e razionalizzare la fruizione turistica, magari incoraggiando anche il «turismo interno»: siamo sicuri che i toscani che vanno alle Seychelles, a Sharm al-Sheikh e alle Mauritius abbiano tutti visitato l’Orrido di Botri, Camaldoli, la Verna, il santuario di San Galgano? Che siano entrati almeno una volta in autentici gioielli come il Museo Antropologico o il Museo Stibbert di Firenze, o magari il museo diocesano di Asciano Senese, o la rocca di Montalcino, o il castello-hotel di Gargonza, la «città ideale» di Pienza?).
A tale proposito, completare l’«asse attrezzato» della Via Francigena e incoraggiare, lungo il suo tracciato, le deviazioni esplorative e la fruizione dei paesaggi, delle tradizioni, dei prodotti locali, è fondamentale. La Via Francigena non è altro che il tratto italosettentrionale della grande arteria dei pellegrinaggi, che dal Camino de Santiago nella Spagna settentrionale conduce attraverso la penisola italica a Roma, ai porti pugliesi, all’itinerario militare bizantino che attraversa i Balcani meridionali e la Tracia, a Costantinopoli, all’Anatolia, alla Siria, alla costa libanese e a Gerusalemme. C’è tutto un patrimonio di possibili analogie, d’iniziative, di gemellaggi da mettere in atto al riguardo.
Ma l’itinerario della Francigena è solo uno degli infiniti itinerari che le agenzie turistiche, appoggiate alle amministrazioni comunali e in sistematica collaborazione con loro, potrebbero offrire ai turisti sotto forma di «pacchetti personalizzati»: quello del paesaggio nella sua infinita varietà dalla nostra «piccola Austria» di Vallombrosa/Consuma ai panorami quasi caraibici delle nostre isole fruibile attraverso le soste nelle rete delle strutture agrituristiche; quello dei centri termali, con autentici gioielli microurbanistici come Bagni di Lucca o Montecatini; quello dei «musei minori», che sono spesso minori solo per modo di dire; quello della Toscana barocca, meno nota ma non meno interessante della toscana etrusca o di quella medievale; quello dei «monumenti minori», alcuni dei quali sono inutilizzati o abbandonati o quasi (penso al castello dell’Incisa e a quello, un unicum dell’architettura orientalistica dell’Ottocento, di Sammezzano presso Reggello); quello della valorizzazione del «nostro nuovo Canada», il bacino idrico del Bilancino, o della «nostra piccola Bayreuth», Torre del Lago Puccini. Il tutto da accompagnare naturalmente alla scoperta dei centri urbani o insediativi meno noti e più decentrati (San Gimignano la conoscono tutti: ma Barga? E Lucignano? E Stia?) e non solo dei «sapori» e delle saghe e fiere, ma anche d’un artigianato locale che sta languendo ed espressione del quale è l’immalinconirsi progressivo della Mostra dell’artigianato di Firenze, che andrebbe riqualificata proprio in una direzione regionale, come «vetrina della regione», se non vogliamo ridurla a supermercato di prodotti made in Hong Kong.
3. Organizzare un vero e proprio Propagandaministerium, un ufficio regionale che si occupi non certo di controllare, ma di razionalizzare i programmi televisivi e le emittenti pubbliche e private presenti sul suolo toscano per coprire l’intero territorio regionale per quel che attiene le iniziative e le attività culturali; tale ufficio dovrebbe provvedere altresì a un’adeguata informazione periodica (stampa cartacea e web) diretta a tutte le altre amministrazioni regionali e alle infrastrutture turistiche dei paesi esteri, specie di alcuni paesi (Stati Uniti e Giappone in prima linea). Si tratterebbe, nella pratica, di giungere alla pubblicazione di un bollettino regionale sul modello del parigino «Pariscope» pubblicabile a cura della regione, presente nelle edicole ma disponibile anche on line. La campagna «Voglio vivere così» e le fondazioni «Sistema toscano-Mediateca» sono ideali punti di partenza per una razionalizzazione di questo tipo delle informazioni e delle proposte che ne deriverebbero.
4. In prospettiva, reperendo gli sponsors giusti, quel che servirebbe alla Toscana sarebbe l’istituzione di una Università regionale della memoria, dell’artigianato e del turismo (Urat), articolata in Facoltà site in differenti e rappresentativi centri urbani, con Scuole estive per stranieri in località minori: dove insegnare e imparare discipline collegate con la storia, l’archeologia, l’antropologia e la tradizioni folkloriche toscane, restaurare e far rivivere le antiche tecniche artigiane, fornire le guide turistiche e tutti gli operatori del campo turistico delle necessarie cognizioni tecnico-culturali di base. Il tutto deve arrivare al conferimento di lauree riconosciute in Italia e all’estero.
5. Lavorare nelle e con le scuole, istituendo cattedre di Storia, tradizioni e dialettologia toscane; e istituendo altresì corsi di aggiornamento per insegnanti e studenti della media secondaria e dell’università aperti anche alla Terza età su tale argomento.
6. Pensare sul serio e sistematicamente alla Terza età. La popolazione toscana invecchia: fra dieci anni, gli ultrasettantenni ne saranno una parte importante. È necessario pensare a livello regionale, razionalizzandola e coordinandola, a un’Università regionale della terza età (Urte), con relativi corsi estivi e viaggi d’istruzione regionale con corsi di artigianato, di giardinaggio, di gastronomia, attività fisiche ecc. Gli anziani debbono fare quel che non hanno potuto, saputo e voluto fare da giovani. Per gli anziani come per gli studenti medi è necessario predisporre un progetto «Conosciamo la nostra terra».
7. Incoraggiare e rafforzare le case editrici toscane, magari con la promozione annuale di una «Mostra-mercato del libro in Toscana» (libri di editori toscani; libri di autori toscani anche se editi da editori non-toscani; libri che parlano della Toscana).
8. Si avvicina il centocinquantenario dell’unità d’Italia, che comporterà varie polemiche. È necessario attrezzarsi da subito: la regione organizzi al riguardo conferenze, dibattiti, filmati, tesi ad avviare in realtà un rinnovarsi dell’interesse per la storia regionale. Sarebbe un ottimo avvio per l’impostare un discorso identitario di vasto respiro.
9. Agire tenendo presente che la Toscana ha un ruolo tutto speciale e irripetibile nel mondo, e sviluppare pertanto i contatti culturali con i Paesi che con la nostra regione hanno avuto un particolare rapporto. Una «politica estera culturale» fatta di gemellaggi, scambio di visite tra scolaresche, convegni e viaggi reciproci, sarebbe essenziale a proiettare la coscienza identitaria toscana in un ambito che non ha alcun senso limitare all’area italiana.
10. Identificare e riunire i possibili sponsors privati. Il budget pubblico, da solo, non può farcela. Ci sono le forza in Toscana? È possibile reperirne fuori non solo della regione, ma d’Italia? Le varie associazioni tipo «Toscani nel mondo», i consoli dei vari paesi, le università e le fondazioni straniere possono aiutarci?
11. Raccogliere in un’unica Fondazione-Museo-Scuola-Laboratorio le opere e le memorie delle personalità toscane del Novecento, prima che si disperdano. Faccio soltanto tre nomi: Baccio Maria Bacci, artista fiesolano, celeberrimo negli Anni Trenta, con una ricca biblioteca di cui è custode suo figlio ormai ultrasettantenne: che fine farà questo patrimonio? Sigfrido Bartolini, grande artista pistoiese, che ha lasciato molte opere e un prezioso archivio; Tiziano Terzani, grande scrittore e viaggiatore. Una Fondazione del Genio Toscano sarebbe auspicabile.
12. Infine, una proposta archeologico-formale. La bandiera toscana è bruttina, ma ormai c’è. Ma accanto ad essa, e solo per le grandi occasioni formali e i momenti storici «alti», non sarebbe bene restaurare l’antico e autentico gonfalone del ducato imperiale di Toscana, risalente al X secolo, cioè l’insegna di vermiglio alle tre bande verticali d’argento? Naturalmente, una cerimonia formale e un convegno di studi per inaugurarlo sarebbero necessari.
Insomma, come si vede, la prossima amministrazione regionale avrà il suo bel daffare. Auguri.