Opinioni & Commenti

Trattato di Lisbona, un altro punto di partenza per l’Europa

di Gian Andrea P. Garancini

Una volta di più, ma forse mai come questa volta, parlando di Europa e di riforma del processo decisionale UE dobbiamo e, soprattutto, dovremo tenere ben presente il detto «l’abito non fa il monaco». Ci riferiamo al nuovo Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre dopo la firma «in extremis» del presidente della Repubblica Ceca e soprattutto della ripetizione forzata, ma ormai omologata (buona la seconda…) del referendum di ratifica irlandese. Istituzioni e loro funzionamento, competenze, ruolo dell’Europarlamento e dei Parlamenti nazionali, relazioni di Bruxelles con i Governi degli Stati membri, presidente dell’Unione e «Madame Pesc»: tutto sembra cambiare per il meglio.

La novità più evidente per forma e sostanza consiste nella figura del presidente del Consiglio europeo, in carica per un mandato di due anni e mezzo rinnovabile una volta, il quale «presiede e anima i lavori del Consiglio europeo, assicura la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio europeo, si adopera per facilitare la coesione e il consenso in seno al Consiglio europeo (…) ed assicura la rappresentanza esterna dell’Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune, fatte salve le attribuzioni dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza». Sulla carta la persona che cercava Henry Kissinger quando, da Segretario di Stato USA, si domandava: «Se chiamo l’Europa, chi alza la cornetta?».

Viene inoltre confermata e potenziata la figura dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza – comunemente ma erroneamente identificato con l’appellativo di «Mister PESC» presente nella bozza di Trattato costituzionale – il quale assume la carica di vicepresidente della Commissione esecutiva. Una sorta di ministro degli Esteri Ue, che mancava, le cui competenze risultano però limitate sia dalla presenza del presidente del Consiglio europeo sia – e si tratta per quanto comprensibile di un punto di fragilità dell’intero sistema – dalla specifica contenuta nel nuovo Trattato secondo la quale «la Politica estera e di sicurezza comune ha un carattere specifico all’interno dell’Ue e non può pregiudicare la politica estera e la rappresentanza presso le istituzioni internazionali degli Stati membri».

Ed ancora. Viene introdotto gradualmente il sistema di voto «a doppia maggioranza», per il quale una decisione in Consiglio per essere approvata deve raccogliere la maggioranza dei Governi e della popolazione europea, ponendo in tal modo finalmente fine al sistema del «veto-ricatto»; le competenze dell’UE e quelle degli Stati membri sono definite e delimitate in maniera senz’altro più chiara, per evitare ora stalli ora sovrapposizioni; l’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici assurgono al rango di vere e proprie priorità politiche. Oltre all’abito formale, però, esiste anche l’esperienza sostanziale: dalla quale, in materia di storia dell’integrazione europea, possiamo e dobbiamo imparare (e prevedere) molto.

Oltre all’abito formale, però, esiste anche l’esperienza sostanziale: dalla quale, in materia di storia dell’integrazione europea, possiamo e dobbiamo imparare (e prevedere) molto. Quante volte infatti i Capi di Stato e di Governo hanno svenduto il cashmere già filato per vestirsi di poliestere, cancellando a colpi di compromessi verso il basso e difesa di interessi (economici per lo più) nazionali quanto di buono e necessario veniva proposto per migliorare la «res publica» europea? E quante volte ancora è successo l’opposto, che cioè i passi avanti significativi sono nati dal nulla, inaspettati come il sole a mezzanotte, per iniziative e/o intuizioni spesso personali? Per questo motivo è nostro dovere di cittadini e di operatori dell’informazione essere cauti, valutare i fatti e non le parole, evitare la critica sterile «ex ante» (tantomeno ex post, che non serve a nulla) per criticare costruttivamente «in itinere». È giunta l’ora di avanzare. La bussola deve puntare con decisione, speranza ed ottimismo al bene comune dei cittadini europei. Il momento di crisi lo impone, e l’incertezza del futuro impone impegno e non disimpegno, forti del fatto che il Trattato è pur sempre un atto vincolante e che Governi ed Istituzioni hanno il dovere di adoperarsi solennemente per la sua corretta applicazione. E di migliorarlo strada facendo, laddove necessario, senza nascondersi dietro al luccichio dell’abito delle feste.