Opinioni & Commenti
Per un’economia che riscopra il lato umano e rilanci le aziende
Negli ultimi tempi si sente ripetere che la crisi è alle spalle, perché qualche indicatore economico torna a crescere. Eppure l’occupazione continua, come oggi accade, a diminuire. In ciò si rispecchia l’errore che ci ha portati alla crisi: vedere dell’economia solo il lato finanziario e non quello umano-produttivo. La finanza non è un male in sé, ma è stata usata male, divenendo il fine, anziché il lubrificante dell’economia di mercato. E facendo dimenticare che anche alla base dell’economia c’è la comunità umana, che con il suo lavoro contribuisce all’opera della creazione. Invece si è dato vita ad uno sviluppo basato sull’individualismo e sul massimo profitto, che ha portato ad una crisi globale: sostanzialmente una crisi del modello liberista-finanziario di stampo anglosassone.
È fallito un modello di economia fondato sugli interessi individuali, sulla mutua indifferenza, sulla ricerca di esasperati profitti, che consuma comunità, ambiente, relazioni, dando vita ad una realtà fissata sull’io, sul qui e sull’ora e priva della dimensione sociale (gli altri), temporale (il futuro) e trascendentale (Dio).
Per non ripetere gli errori dobbiamo oggi porci delle domande: Qual’è la sostenibilità del capitalismo e quali modelli economici e finanziari sono alternativi per rinnovare profondamente un’economia di mercato presa in ostaggio dalla finanza? I percorsi alternativi vanno cercati ora, prima che il sistema malato si rimetta in moto. Ripartendo dalla tradizione economica italiana e dalla nostra cultura cristiano-cattolica, dopo gli eccessi del liberismo calvinista anglosassone che affida al mercato ogni cosa.
Serve un’economia di mercato più comunitaria. Occorre che le imprese non producano soltanto, ma partecipino alla vita civile delle comunità in cui operano. Il mercato e l’economia non devono essere qualcosa di diverso e separato: l’economia è civile, il mercato è sociale e l’impresa deve riconoscere il valore dell’umano e l’importanza della ricerca del bene comune.
La qualità e lo sviluppo economico e civile dell’Italia dipenderà dalla capacità di recuperare pienamente la sua tradizione che ha come base l’impegno sociale delle sue imprese come sancito anche dalla nostra Costituzione. In questo senso va la proposta Cisl sulla partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa. Ai lavoratori oggi si chiedono coinvolgimento personale, intelligenza, creatività, capacità di affrontare il nuovo, di lavorare assieme, di saper perseguire obiettivi comuni.
I lavoratori partecipano già al «rischio d’impresa», perché se l’impresa va male sono i primi a pagare, come stiamo vedendo in questi mesi, con licenziamenti e cassa integrazione. Per questo non possono continuare ad essere solo salariati. Nella politica di partecipazione sul lavoro, dunque nella democrazia economica, si gioca l’altra partita per la nostra crescita civile e democratica.
Riuscirà la politica italiana a cogliere il valore di tutto ciò ? Per ora le proposte di legge in questo senso sono ferme in Parlamento. In Toscana la Cisl sta raccogliendo le firme a sostegno di una proposta di legge regionale di iniziativa popolare che, sebbene il grosso del lavoro spetti al legislatore nazionale, possa stimolare, con sgravi e incentivi, le aziende della nostra regione, a cominciare da quelle a capitale pubblico, ad andare in questa direzione.