Opinioni & Commenti

L’espulsione di clandestini con figli a scuola: la faccia feroce di chi non ha la coscienza a posto per farla

di Domenico Delle Foglie

«Summus jus, summa iniuria» («Il massimo del diritto, il massimo dell’ingiustizia»). È difficile non ricorrere a Cicerone, che già ai suoi tempi utilizzava questa espressione proverbiale, per commentare la vicenda dell’immigrato albanese condannato dalla Cassazione a lasciare l’Italia in quanto clandestino, nonostante i suoi due figli frequentino regolarmente la scuola italiana. Ma questa è solo la voce del cuore.

C’è poi la voce della ragione che prevede il rispetto della legge italiana, ribadita con una sentenza della Cassazione che ha decretato l’espulsione di Myrtja A. L’uomo è un albanese senza documenti. Con moglie anche lei nata nel Paese delle Aquile, ma già cittadina italiana «regolare», perché regolarmente adottata nel 2005 da un signore italiano che non voleva che lei tornasse alla vita difficile di prima. Dall’incontro fra i due albanesi sono nati due figli, ben inseriti nella scuola italiana.

Ma torniamo alla motivazione della sentenza: non ricorrono, a parere della Suprema Corte, le «condizioni di emergenza» che possano far sospendere il processo di espulsione. Infatti la Corte non ha intravisto in questa particolare situazione «circostanze contingenti e eccezionali che pongano in grave pericolo lo sviluppo della personalità del minore». In sostanza, e paradossalmente, proprio la frequenza scolastica viene giudicata un elemento di stabilità nella vita di questi minori. Tale quindi da non meritare la presenza costante del padre, vista quella assicurata dalla madre.

Al fondo di tutto, poi, il rischio evidenziato dalla Cassazione: «Legittimare l’inserimento di famiglie di stranieri strumentalizzando l’infanzia». Come si vede, dunque, preoccupazioni non da poco e che meritano comunque il rispetto che si deve a una sentenza dei supremi giudici. Il che vuol dire, innanzitutto, non scatenare la solita canea politica che divide troppo spesso il Paese in rigoristi e buonisti. E soprattutto mettersi a ragionare, con quel tanto di buonsenso che dovrebbe accompagnare situazioni così delicate.

Infatti, a ben guardare, le parole più convincenti le ha pronunciate proprio una parlamentare del Pdl, Souad Sbai, di origini marocchine, ma ormai italiana: «Ho scelto questo Paese per far nascere e crescere i miei figli». Ecco, appunto, i figli. Un tasto molto dolente per tanti immigrati che non riescono a regolarizzare la propria posizione. Sbai, nel chiedere al governo una minisanatoria, osserva che «il genitore clandestino, spesso e volentieri, non ha potuto regolarizzarsi non per colpa propria, ma a causa del datore di lavoro. Per non parlare di chi un lavoro lo aveva e l’ha perso improvvisamente dopo anni di sacrifici e di contributi pagati». Di qui la richiesta di guardare le situazioni caso per caso e di ipotizzare una minisanatoria per consentire solo agli immigrati che si trovino in questa particolare situazione di «regolarizzarsi e garantire un futuro di serenità per i loro figli, spesso nati e cresciuti in Italia».

Conosciamo l’onorevole Sbai per la sua moderazione e per il suo coraggio nel condannare l’islam violento e proviamo a darle credito. Di sicuro, crediamo che un Paese giusto debba comunque preoccuparsi dei bambini e del loro sviluppo. Una volta si diceva: prima i bambini e le donne. È ancora così? E poi, anche rispetto al rischio di furbizie e sotterfugi da parte di qualche clandestino con figli, davvero noi italiani, con le nostre legioni di falsi invalidi e il nostro esercito di evasori fiscali, pensiamo davvero di dover fare la faccia feroce con questi bambini e con questi genitori? Difficile anche solo pensarlo.