Opinioni & Commenti
Tariffe postali, un colpo alla libertà di stampa
di Andrea Fagioli
Quando nel numero scorso (quello di Pasqua) annunciavamo con entusiasmo l’appuntamento con un giornale rinnovato (questo) con più pagine per le diocesi (e quindi un maggiore impegno anche economico), non avremmo mai pensato che di lì a poco, consegnando il giornale alle Poste, avremmo avuto l’amara sorpresa del blocco delle agevolazioni postali con nuove tariffe più che raddoppiate. Una vera mazzata, con tempi e modi studiati a tavolino.
Il decreto, firmato dal Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, è stato emanato il 30 marzo, è apparso sulla Gazzetta ufficiale il giorno dopo ed è entrato in vigore il 1° aprile senza nessun preavviso, nessun contatto, così che nessuno avesse il tempo per tentare una mediazione o un confronto. Ma non solo: si erano anche chiusi da qualche ora i seggi elettorali (in modo che nessuno potesse scrivere nulla che in qualche modo condizionasse il voto), mentre il dibattito post-elettorale alzava un polverone su ben altri temi e un quinto degli italiani se ne andava beato in vacanza (Parlamento compreso). Fatto sta che neppure la stampa quotidiana, ad eccezione di Avvenire, si è preoccupata più di tanto di quello che stava accadendo.
E questo è un brutto segno, che lascia pensare che sotto sotto qualche accordo era stato fatto. O quantomeno si capisce perché a suo tempo furono ripristinati i contributi per l’editoria alla carta stampata, ma non quelli alle radio e alle televisioni: i contributi alla carta stampata sarebbero stati in parte recuperati con questo decreto, che però colpisce i giornali come il nostro, che viaggia quasi tutto in abbonamento, non certo i grandi che vanno in edicola o i giornali di partito che hanno comunque sovvenzioni milionarie (L’Unità oltre 6 milioni di euro, Liberazione 4 milioni e mezzo, La Padania poco meno di 4 milioni…).
Il decreto colpisce in modo particolare il mondo cattolico con i suoi 186 settimanali diocesani e una miriade di pubblicazioni collegate a santuari, movimenti, associazioni… oltre alle case editrici che per spedire i libri rischiano di spendere più del prezzo di copertina del libro stesso.
Se non si troverà una soluzione nelle trattative in corso in questi giorni tra piccola editoria e Poste italiane, alle quali il Governo ha passato la «patata bollente», non saranno soltanto i giornali a soffrirne, ma tutto il settore con ripercussioni preoccupanti sull’occupazione. Ci sembra assurdo che in un momento di crisi come l’attuale anziché combattere un’evasione fiscale da vergogna e pensare a salvaguardare i posti di lavoro in aziende che stanno in piedi con grandi sacrifici ma con le proprie forze, si cerchi di affossarle e di mandare la gente a casa. Senza dimenticare che il peso sociale di questa decisione sarà affiancato da un ancor più grave peso culturale: la libertà di stampa e il pluralismo potrebbero essere colpiti duramente. Il pluralismo, infatti, non è garantito solo dalla grande stampa, ma sempre più dalla piccola stampa libera. E se questa dovesse morire, il colpo per la nostra democrazia sarebbe irreparabile.