Opinioni & Commenti

L’impegno cristiano oltre la teatralizzazione della politica

di Francesco Gurrieri

I difficili equilibri che caratterizzano questa stagione del nostro Paese non sembrano avere facile soluzione. Le tensioni (o i rilassamenti) interne alle aggregazioni di governo e di opposizione provocano contorsioni, mal di pancia, smorfie, quando non turpiloquio e rabbia incontrollata. L’esasperata personalizzazione, la suggestione e la coscienza che l’immagine mediatica tenda ormai a sostituirsi all’immagine reale della persona, spinge, comprensibilmente, verso la taetralizzazione, richiamando dunque l’intero linguaggio teatrale, fatto di gestualità, di artificio, di sorpresa, di finalizzate scenografie.

Così, è ormai di tutta evidenza che in queste «recite» (programmate come tutte le attività teatrali) si possa benissimo prevedere il canovaccio di scontri e sceneggiate a seconda degli «attori» che si mettono insieme: i talk-show settimanali insegnano. Le cose serie invece, vanno in altra direzione e si affrontano in ben altri modi. Il nostro era un Paese dignitosamente «ricostruito» dall’ultimo conflitto mondiale, con un assetto democratico crescente e responsabilmente rispettoso della propria geografia politica, quale che fosse. Che, nonostante le crisi d’ogni genere, era riuscito a progredire, consentendo un apprezzabile tenore di vita che aveva persino attenuato la forbice fra i più ricchi e i più poveri.

In codesto progresso civile, sociale (e politico), un ruolo determinante ebbe l’impegno e l’equilibrio dei cattolici. Certo, era una situazione, si potrà dire, caratterizzata dalla presenza di grandi personalità (si pensi a De Gasperi e poi a Fanfani, Moro, Zaccagnini), ove la scelta di campo e le aggregazioni avevano sempre un’accettabile elasticità: ciò provocava minore stabilità di governo ma maggiore aderenza alla dinamica e al divenire della politica. E comunque, in tutto ciò, era difficile non vedere il ruolo trainante del mondo cattolico anche nei momenti più difficili delle maggiori tensioni sociali, ove furono sacrificati politici, sindacalisti, giornalisti, studiosi, tutti coerenti alle loro idee.

Ora, da quando, all’aprirsi degli anni ’90, si sono incoraggiati ed hanno prevalso nuovi movimenti organizzati (economicamente autosufficienti), il risultato è quello di una frantumazione spesso oppositiva proprio del mondo cattolico. Ed allora quale riflessione sembra conseguire? La mia convinzione è che al di là dei sommovimenti interni nell’attuale scenario (pur capaci di piccoli aggiustamenti tattici) una prospettiva strategica, di più lunga durata, possa venire solo e soltanto da un rinnovato impegno aggregativo dei cattolici. Un equilibrato  responsabile «centralismo sociale» che torni a fondarsi sui valori primari della dottrina della chiesa (ma autonomo da questa) sembra essere la non facile ma più credibile prospettiva di lavoro per i prossimi anni. Da qui una riflessione necessaria: si promuova, con coraggio, un programma tematico di confronti nel mondo giovanile per riappassionare alla politica e per consentire quel travaso generazionale drammaticamente interrotto da troppo tempo. Anche questo potrebbe essere un obiettivo del rinnovamento di questo settimanale.