Opinioni & Commenti
Anziani, il «terzo tempo» della famiglia
di Michele Brancale
A Firenze, come anche nelle altre città toscane, gli anziani (di cui si torna a parlare soprattutto in estate) rappresentano da una parte la vera emergenza bisognosa di risposte che consentano di uscire dalla solitudine e dal destino dell’istituzionalizzazione; dall’altra sono una risorsa, soprattutto un’immensa «risorsa» affettiva, che ha ancora molto da dare e che viene sottovalutata. Grandi opere, trasformazioni urbanistiche, costruzione metropolitana Tutte cose necessarie, ma come inserirle in quel «costruire la storia dal di dentro» che Papa Wojtyla raccomandava a Firenze, durante la sua visita, per non accontentarsi di essere «una capitale di monumenti».
Non si scriverà la storia dal di dentro, se non si amano gli anziani, il «terzo tempo» della famiglia correttamente intesa come abbraccio di generazioni. Di fronte alle difficoltà, gli istituti rispondono a una domanda e sembrano l’unica risposta, ma non è così (peraltro buona parte degli anziani è titolare di una casa di proprietà). Al 2007, nella provincia di Firenze, per fare un esempio concreto, gli istituti erano 64 (27 a Firenze e 37 nel territorio provinciale) e ci vivevano circa 3800 persone, l’equivalente di un piccolo comune della provincia.
All’origine di questo fenomeno una convergenza di cause: la debolezza in famiglia (talvolta con figli anziani che devono prendersi cura di genitori ancora più anziani e di figli che non hanno un lavoro se non precario); l’impoverimento dettato dall’applicazione non controllata dell’euro e l’inconsistenza delle pensioni (11 mila circa gli anziani con l’assegno sociale; 69 mila con la minima); la condizione di non autosufficienza che solo a Firenze investe oltre 10 mila persone; «barriere geriatriche» (palazzi senza ascensore o montascale, ma anche servizi informatizzati); la solitudine (circa 29 mila anziani costituiscono nuclei unifamiliari, quasi il 68 per cento nei nuclei familiari unipersonali fiorentini).
Alternative possibili? Possiamo illustrarle con alcune microstorie: l’installazione di un ascensore nella casa dell’86 enne Anna; il sostegno nel recupero di situazioni familiari deteriorate attraverso incontri facilitati dalla mediazione degli amici (piccole ma importanti cose, come il festeggiamento del compleanno); la rete dei negozianti che portando la spesa a casa salva Antonietta caduta a casa, dopo tre giorni; aiutare gli anziani, attraverso l’accompagnamento nei luoghi di aggregazione e di preghiera, ad avere appuntamenti che scandiscono la settimana e, soprattutto, amici; l’installazione dell’impianto di condizionamento a casa dei coniugi Pierini li chiameremo così che li salva dall’idea che quella casa, la loro casa, non fa più per loro. Ancora: l’«adozione di condominio» verso l’anziana Silvia e quella telefonica di Anna, che alcuni amici chiamano ogni sera «così mi passa la paura». Si tratta di storie semplici raccolte dalla Comunità di Sant’Egidio ma che salvano il gusto e la possibilità di restare a casa perché vincono il nemico numero uno: il sentirsi soli e anche l’afa estiva. In ultimo: si dimentica con facilità che la casa di proprietà è un’opportunità. Gli anziani a casa vorrebbero restarci, magari anche grazie alle alternative raccontate prima. Senza dimenticare, mai, che gli anziani sono persone intere, con un nome, un cognome, una storia, sulla quale affacciarsi con simpatia, magari bussando alla porta del vicino di casa che sappiamo solo (un po’ come anche noi che non lo conosciamo).