Opinioni & Commenti
Quale idea di Africa rimarrà dopo i mondiali di calcio
di Riccardo Moro
Dopo che le mani di Iker Casillas hanno tolto la Coppa del Mondo dai piedi degli undici scarponi in arancione domenica notte a Joburg, ci si chiede quanto rimarrà di questo campionato nelle menti e nei cuori dei milioni di spettatori che nel mondo l’hanno seguito. Naturalmente non ci riferiamo ai gesti atletici, come le prodezze di Forlán o la grinta dei giovani talenti come Mueller, né alle brutte e belle figure, come l’arbitro Webb che all’essere uomo ha preferito mostrarsi ominicchio o i giocatori spagnoli che si scambiavano le bandiere catalane, basche o asturiane a segnare che la vittoria era davvero di tutti. Stiamo pensando piuttosto a che cosa rimarrà dell’idea di Africa a chi per una volta ha rincorso il pallone, almeno con gli occhi, verso Sud.
Oggi in Sudafrica molti si chiedono se le spese effettuate per ospitare i Mondiali siano state proporzionate, se stadi così grandi saranno davvero riempiti nei prossimi anni almeno col rugby. Alcune voci si chiedono se l’investimento pubblicitario per far conoscere il Paese e la sua economia non sia stato eccessivo e se non si dovesse destinare il denaro verso il sistema scolastico, tuttora in difficoltà in alcune zone del Paese, o verso altri scopi sociali. In realtà il rischio che spenti i riflettori, l’idea di Africa si dissolva nel buio è forte. Il calcio e la macchina della pubblicità macinano tutto e finito un carosello ne propongono un altro. Nel 1978 il mondiale servì ai colonnelli argentini per irridere le loro vittime e il mondo, oggi la presenza di Mandela offre un segnale esplicito in tutt’altra direzione, né manca chi come Casillas sì, ancora lui ha versato, imitato dai compagni di squadra, buona parte del premio per la vittoria, ad una iniziativa per i bambini in Sierra Leone.
Ma il timore che waka waka rimanga solo un ballo e non una presa di coscienza rimane.
È compito di chi può scrivere, allora, raccontare i fiori che sbocciano nell’Africa del 2010. Il più bello e tormentato, sbocciato durante i Mondiali è quello della Guinea Conakry che è tornata a votare in modo libero dopo cinquant’anni. Dopo l’indipendenza dalla Francia nel 1958, il Paese ha visto la dittatura sanguinaria di Sekou Touré. Gli è successo il generale Lansana Conté, che ha guidato il Paese prima da dittatore e poi da presidente, con elezioni formalmente libere, ma viziate dai militari e dal partito di governo. Alla morte di Conté, un gruppo di militari ha preso il potere creando la Cndd, la Commissione nazionale per lo sviluppo e la democrazia, promettendo elezioni libere in due anni. Il suo leader, il capitano Dadis Camara, ha avviato un’azione efficace e probabilmente sincera contro alcuni privilegi e gruppi di potere. Ha dichiarato guerra ai trafficanti di droga, mettendo in carcere personaggi eccellenti come il figlio dell’ex dittatore Conté, ma ha inanellato gravi errori, proponendosi come unico difensore del popolo. Prese di posizione goffe contro governi e ambasciatori stranieri e la «minaccia» di candidarsi alle presidenziali per evitare l’arrivo di avventurieri disonesti, gli hanno fatto perdere il consenso dentro e fuori il Paese.
Delle difficoltà hanno approfittato coloro che nella Cndd contavano solo sostituirsi al vecchio gruppo di potere. La tensione crebbe, sino ad arrivare al 28 settembre scorso, quando un gruppo di militari spara e commette un eccidio durante la manifestazione delle «forze vive» del Paese nello stadio della capitale che chiedevano elezioni presto e senza la candidatura di Dadis. Questi nega di avere ordinato di sparare, va a visitare i malati, ma non punisce nessuno dei responsabili. Da molti viene considerato connivente, ma in realtà è probabile che la strage sia stato un atto di ribellione di un gruppo di militari contro di lui. Dadis tenta una mediazione personale per evitare una degenerazione ancora più sanguinosa. Il malcontento, infatti, sta alimentando la tensione etnica. Un mese dopo la strage, i responsabili sparano a Dadis e ai suoi. Alcuni muoiono, Dadis viene gravemente ferito e trasferito in Marocco per essere curato. Ma la prova di forza fallisce. Il potere passa nelle mani del numero due della giunta che convoca elezioni sotto una supervisione internazionale. Il sacrificio di Dadis in qualche modo ha creato le condizioni perché più nessuno possa pensare di poter trattenere impunemente il potere.
Due settimane fa si è finalmente votato. I risultati saranno dichiarati ufficialmente il 18 luglio e comporteranno lo svolgimento di un secondo turno. Molto rimane incerto, sia sull’esito del ballottaggio, sia sulla reale «liberazione» dai gruppi di potere, ma è un fatto che il quadro politico appare irreversibilmente cambiato e più aperto, dopo un percorso in cui chi ha lavorato per la democrazia ha agito senza violenza, smentendo le previsioni di chi vedeva in Guinea la prossima guerra africana.
Raccontare l’Africa dei Mondiali è raccontare anche questo. Lo faremo ancora. Con trepidazione e fierezza.