Opinioni & Commenti
Politiche per la famiglia, i punti fermi da cui ripartire
di Domenico Delle Foglie
Una cosa è certa: dopo la Conferenza nazionale di Milano, la famiglia italiana ha ritrovato una sola voce. Una voce in grado di farsi ascoltare dal Paese come dai Palazzi. Una voce che parla un linguaggio di verità. Non sono stati fatti sconti a nessuno, ma si è voluto voltare pagina, forse in uno dei momenti più difficili, con un Paese che deve mantenere la finanza pubblica in linea di galleggiamento e un sistema politico istituzionale in fibrillazione. Ma è proprio in momenti come questi, di crisi vera e non virtuale, che bisogna saper pensare il domani, magari rivoluzionando i vecchi modelli di intervento.
Cerchiamo allora di fissare alcuni punti fermi. Intanto quella di Milano, a differenza di Firenze (2007, l’anno del «Family Day») è stata la Conferenza «della famiglia» e non «delle famiglie». Distinzione non da poco: sottintende il ritorno della centralità della famiglia naturale, composta da un uomo e da una donna e aperta alla procreazione. Sorvoliamo sulla polemica politica che ha accompagnato questa scelta e sulle forzature di una parte dell’informazione italiana. Ciò che conta è il ritorno al dettato costituzionale. Con la consapevolezza acquisita nel tempo e ormai patrimonio legislativo che i figli sono tutti uguali e hanno gli stessi diritti. Nati fuori o dentro il matrimonio, acquisiti al nucleo familiare tramite l’adozione o nati attraverso la procreazione medicalmente assistita (Legge 40).
Seconda annotazione: il Welfare State come l’abbiamo conosciuto appartiene ormai al passato. Di qui la necessità di prendere atto della scarsezza delle risorse pubbliche e di dare spazio a un Welfare diffuso, sussidiario e pluralistico. Si tratta cioè di mettere in campo la società civile in tutte le sue espressioni capaci di sostenere il nuovo Welfare: dalle aziende alle fondazioni bancarie, dall’associazionismo familiare alle nuove realtà territoriali. Assecondando così anche quel processo federalista al quale il Paese è destinato.
Da Milano inoltre è venuta la convinzione che si debba pensare e ripensare l’intero sistema sociale in un’ottica familiare. È il cosiddetto «family main streaming». Qualcosa di analogo a quel «gender main streaming», lanciato dall’Unione Europea con ingenti investimenti pubblici per le politiche di pari opportunità tra i generi. Un fiume di denaro che dall’Europa si è riversato sugli Stati membri.
Infine, in nome della concretezza, ora l’Italia dispone di un Piano per la famiglia in dieci punti. È la prima volta che accade nella storia repubblicana e va detto che grande è stato il contributo, non solo teorico, del Forum delle associazioni familiari. Loro il merito di aver elaborato lo strumento, il «Fattore famiglia», necessario a realizzare concretamente il primo punto del Piano: l’equità economica. Si tratta di un meccanismo che supera il Quoziente familiare di derivazione francese e si ispira al modello federale tedesco in cui lo Stato non effettua prelievi fiscali sul reddito minimo vitale di una famiglia. La tassazione parte solo oltre la soglia di quello che viene concordemente indicato come il livello di vita minima.
Siamo sulla strada giusta? L’attuale crisi butta un po’ all’aria tutto, ma il Piano, d’ora in poi, dovrà essere per i governi e per le assemblee parlamentari un punto fermo da cui ripartire.