Opinioni & Commenti
Libertà religiosa, la madre di tutte le libertà
di Romanello Cantini
Quest’anno il Papa ha dedicato il consueto messaggio per la giornata della pace alla libertà religiosa. C’è un nesso stretto, ha sottolineato Benedetto XVI, fra il rispetto della fede di ogni uomo e la difesa della pace. La dimensione religiosa è la specificità dell’essere umano e negare ad una persona la possibilità di professare la fede in cui crede significa di fatto negare la sua umanità. D’altra parte una visione religiosa autentica porta a scoprire il disegno che Dio ha voluto imprimere nella storia basato sull’amore e quindi sulla convivenza e sulla solidarietà. Non è un caso che la libertà religiosa è un po’ la madre di tutte le altre libertà ed è stata rivendicata qualche secolo prima della stessa libertà politica. È evidente che laddove un regime non consente libertà religiosa alle minoranze le sottopone alla tentazione di ottenere libertà con la sovversione e quindi con violenza.
Questa pena per la libertà religiosa nel mondo di oggi non è un cruccio personale del Papa. Dal lato completamente opposto un intellettuale ateo come Bernard Henry Levy ha scritto sul Corriere della Sera del novembre scorso: «I cristiani formano oggi su scala planetaria la comunità più costantemente, violentemente e impunemente perseguitata». Ormai anche da parte di osservatori laici si danno sempre più spesso per scontati dati sconfortanti: sarebbero più numerose le vittime delle persecuzioni dei cristiani nel ventesimo secolo che in tutti e diciannove secoli precedenti; almeno l’ottanta per cento degli abitanti del pianeta subiscono limitazioni della loro libertà religiosa e almeno la metà dei loro governi le permette o le ordina.
Se l’intolleranza religiosa che cova nelle società civili del mondo è un fenomeno in crescita da almeno trenta anni quello che preoccupa negli ultimi anni è l’acquiescenza dei governi all’intolleranza anche laddove meno ci si aspetterebbe. L’India di Gandhi, il non violento così tollerante da rischiare il sincretismo religioso, oggi è pronta a processare per « proselitismo» e talvolta ad assalire le sue religioni minoritarie. La Turchia di Ataturk, musulmano così laico da morire di cirrosi epatica, tende oggi a classificare solo come «pazzo» chiunque aggredisca un cristiano. Perfino l’Algeria, per la cui indipendenza si batterono con coraggio cattolici come Francois Mauriac e l’Abbè Pierre, oggi arresta chi apre un luogo di culto cristiano.
In questo scenario sconfortante c’è di nuovo solo il fatto positivo che finalmente qualcosa si sta muovendo a livello della comunità internazionale anche per la pressione diretta delle stesse chiese. All’inizio di ottobre a Bruxelles prelati e laici cattolici del l’Iraq, dell’India, del Vietnam, del Sudan hanno incontrato i parlamentari europei. A fine novembre è stata votata dal parlamento europeo una risoluzione che impegna i governi dell’Europa a premere sul governo iracheno perché vengano protetti i cristiani. A fine novembre il parlamento europeo ha adottato una risoluzione contro tutti gli attacchi ai cristiani nel mondo e il Partito popolare Europeo ha chiesto all’Unione di tenere conto del rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa nel firmare accordi di cooperazione con paesi extraeuropei.
L’Onu, nonostante che l’articolo 18 della sua Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata nel 1948, l’impegni a far rispettare la libertà religiosa, è rimasta fino ad ieri a guardare. Anzi alcuni suoi atti, come l’approvazione della Risoluzione sulla Diffamazione delle Religioni, promossa recentemente dagli stati islamici, incoraggia di fatto l’approvazione di leggi come quella sulla blasfemia che in Pakistan è usata per minacciare di morte i cristiani. Tuttavia ora qualche voce preoccupata comincia ad arrivare anche da New York e da Ginevra. Nel marzo di quest’anno il relatore Asma Jahangiz ha sollevato la questione della persecuzione dei cristiani al Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra. Dopo l’appello rivolto nell’ottobre scorso dal Sinodo delle Chiese Orientali perché l’Onu condannasse anche la «cristianofobia» dopo aver condannato la «islamofobia», il 17 dicembre scorso, il giorno dopo l’appello del papa, Melissa Flaming, portavoce dell’Alto Commissario dell’Onu per i rifugiati, ha denunciato la condizione di terrore dei cristiani in Iraq dopo l’attentato alla cattedrale di Baghdad dei 31 ottobre e la fuga di centinaia di cristiani di Baghdad e di Mossul verso il Kurdistan, la Siria, la Giordania.
E tuttavia, poiché ogni soluzione possibile verrà alla fine più dai popoli che dai loro governi, è tuttavia molto significativo, anche se quasi solo simbolico, che in Pakistan ci sia stato qualcuno chi ha il coraggio di raccogliere migliaia di firme per la liberazione di Asia Bibi condannata a morte per blasfemia mentre l’iman di Peshwar ha messo una taglia di 4000 euro sulla sua testa qualora fosse liberata e gli estremisti manifestano perché la sua condanna sia eseguita.