Opinioni & Commenti
Dall’Africa all’Europa, i motivi della crisi
di Giovanni Pallanti
Nel Nord d’Africa, come in Spagna, le piazze si sono riempite di persone, soprattutto di giovani, che chiedevano e chiedono libertà e lavoro. I giovani spagnoli, in modo particolare, chiedono una democrazia più partecipata e maggiori occasioni di lavoro. La Spagna oggi ha un tasso di disoccupazione del 21,5% tra la popolazione in età lavorativa. I giovani senza lavoro con età inferiore ai 35 anni sono il 45%. Una situazione esplosiva che ha portato al crollo politico del partito socialista di Zapatero nelle ultime elezioni amministrative e regionali. L’Irlanda e il Portogallo sono sull’orlo di un tracollo economico. La Grecia è quasi fallita economicamente come Stato.
La commissaria europea, la greca Damanaki, mercoledì scorso, ha minacciato di uscire dall’area dell’Euro. La Grecia aveva raggiunto un accordo di massima per la restituzione dei crediti che hanno consentito di tenere in piedi lo stato greco, in questi ultimi mesi, con il Fondo Monetario internazionale: poi lo scandalo sessuale che ha travolto il direttore dell’ FMI. Molti speculatori si sono appostati sui confini della Grecia per farla a pezzi. Tant’è che la Commissaria europea greca ha detto: «O c’è l’accordo con i creditori o la Grecia torna alla dracma». Sarebbe una sconfitta irreversibile per i Paesi dell’euro e, soprattutto, per l’Europa politica.
Che fare di fronte a questo scenario? Il problema non è né di contabilità statale né puramente finanziario. Sbaglia Lorenzo Bini Smaghi, membro del board della Banca Centrale Europea, quando dice che i problemi possono essere risolti «facendo le riforme e rimborsando i debiti». Questa ricetta equivale a consigliare un disoccupato a trovarsi un lavoro e pagarsi i debiti. Facile a dirsi, quasi impossibile a realizzarsi. Il vero problema è che l’occidente europeo si è progressivamente deindustrializzato. I grandi e medi industriali hanno investito in operazioni finanziarie non facendo più l’imprenditore. Chi ha continuato a farlo ha dislocato le proprie imprese nelle aree del mondo in cui il costo medio mensile di un lavoratore è tra i 100 e i 150 euro. Per questa ragione monta la rabbia dei giovani e aumenta la disoccupazione nei paesi dell’Occidente.
Le famose liberalizzazioni che hanno costretto lo Stato italiano a smantellare le partecipazioni statali nell’economia, hanno fatto ingrassare alcuni speculatori con un grave danno per il sistema industriale italiano e per la ricerca scientifica. Le grandi industrie che potevano investire nelle nuove tecnologie, frutto della ricerca scientifica, erano quasi tutte a capitale pubblico e facevano parte del sistema delle partecipazioni statali che hanno avuto, come inventori, il Beneduce che fonda l’IRI durante il ventennio fascista e i democratici cristiani Amintore Fanfani, Giorgio La Pira e Enrico Mattei il grande primo presidente dell’Eni. Ancora oggi, le uniche grandi concentrazioni industriali che hanno le radici in Italia, sono l’Eni e Finmeccanica. Se verranno salvati i posti di lavoro della Fincantieri lo si potrà fare solo se rimarranno nell’ambito delle partecipazioni statali rimanendo così una delle più grandi industrie cantieristiche del mondo. Quindi bisogna ripensare ad un intervento intelligente dello Stato nella vita economica e produttiva delle Nazioni economicamente in crisi.
Ettore Bernabei ha sempre detto che dietro lo scandalo di Tangentopoli c’erano la Massoneria inglese e olandese che voleva la distruzione del sistema delle partecipazioni statali in Italia. Operazione quasi riuscita perché l’Italia è quasi del tutto deindustrializzata. Si vive prevalentemente di terziario. Ma se non c’è chi produce, chi compra i servizi alla persona erogati dal Terzo Settore? Ecco perché l’Europa invece che dare soldi, che hanno come capolinea finale gli imprenditori privati, dovrebbe riconsiderare il sistema delle partecipazioni statali soprattutto per gli stati membri che vivono l’angoscia della miseria e della disoccupazione.
A questo proposito basterebbe ricordare le critiche del premier conservatore inglese Margareth Tatcher ai finanziamenti della comunità europea agli imprenditori agricoli italiani: la Tatcher accusò senza mezzi termini gran parte di questi presunti imprenditori d’essere appartenenti alla mafia. Nessuno può pensare che il ritorno delle partecipazioni statali sia una forma di negazione della libera impresa nel libero mercato. La Francia, per esempio, ha dimostrato che può coesistere la finanza pubblica con il capitale privato nella difesa dei posti di lavoro e dei livelli produttivi delle imprese francesi. Così come non vale neppure l’esempio degli Stati Uniti d’America: nella patria del capitalismo democratico il profitto ha un ruolo essenziale nella vita degli imprenditori e delle imprese. Chi truffa, però, gli azionisti delle industrie americane o evade il fisco rischia centinaia di anni di carcere. Cose che purtroppo in Italia ed in altri paesi europei dell’area mediterranea non esistono o prevedono pene, quelle per i reati finanziari, assai lievi. Basti un esempio: il caso Callisto Tanzi. Purtroppo.