Opinioni & Commenti
Referendum: i 3 fattori del quorum e il cambio di guida politica
di Domenico Delle Foglie
C’è voluta una lunga, interminabile stagione «antipolitica» per indurre gli italiani a rivitalizzare uno strumento democratico come il referendum. Una forma di democrazia diretta gravemente malata, reduce da 16 anni di diserzione dei cittadini, ormai data per spacciata e destinata al cimitero delle istituzioni E invece, eccolo lì, il referendum: bello e vegeto sotto la spinta di milioni di italiani che hanno voluto dire la loro su alcune questioni per nulla secondarie.
Ecco, sarebbe un imperdonabile errore politicista non prendere atto che il quorum è stato raggiunto grazie al combinato composto di almeno tre fattori essenziali. Il primo è da ricondurre all’importanza dei temi in discussione e alla loro prossimità ai cittadini. Acqua pubblica, nucleare e giustizia uguale per tutti sono questioni che toccano da vicino i cittadini e su cui ciascuno ha potuto agevolmente formarsi un’opinione. Per non parlare dell’effetto Fukushima e senza trascurare il battage sulle vicende giudiziarie del Premier.
Secondo fattore è quello legato alla semplificazione referendaria. In genere nei referendum la spunta chi riesce a difendere le proprie ragioni con un sì o un no comprensibilissimi: sì/no al nucleare, sì/no alla privatizzazione dell’acqua, sì/no alla giustizia uguale per tutti. Una straordinaria semplificazione (non senza ombre e forzature interpretative, a dire il vero) ha favorito una massiccia partecipazione. Sicuramente era accaduto qualcosa di simile sia nel 1974 (referendum sul divorzio) sia nel 1992 (referendum sulla preferenza unica).
Terzo fattore, a nostro avviso il meno decisivo, quello legato ad una mobilitazione antiberlusconiana da collegarsi anche alla sconfitta della maggioranza alle recenti amministrative e al rinnovato slancio delle opposizioni (di ogni colore e latitudine politica). Un effetto trascinamento che ha riguardato solo una porzione di elettori, mentre è realistico pensare che tanti cittadini orientati verso il centrodestra non abbiano voluto far mancare il loro voto.
Come nel 1974 e nel 1992 i referendum furono forieri di un cambiamento politico significativo (rispettivamente la fase dell’unità nazionale e il crollo della Prima Repubblica), anche oggi la consultazione popolare sembra porre le premesse per un cambiamento di guida politica. O se volete, di accelerazione della fine del ciclo berlusconiano, con una normale transizione di governo. Nulla, dunque, di politicamente drammatico. Anche se la pesante crisi economica incombe su tutti e oggettivamente, se dovesse protrarsi ancora per molti anni, potrebbe facilmente sfociare in un’incontrollabile crisi sociale.
Proprio questa consapevolezza dovrebbe indurre tutti a non depennare già da domani le questioni dell’acqua e del nucleare (meglio dell’energia) dall’agenda politica. Anzi, dovranno fare parte integrante dei programmi delle coalizioni che si contenderanno il governo del Paese. Ora aspettiamo proposte concrete di «governance» e non ci illudiamo che le soluzioni possano essere facili in tempi mondialmente difficili. Non basterà trincerarsi dietro il mito titanico del «pubblico» che ben sappiamo non è sinonimo di efficienza, così come il «privato» non è solo sfruttamento e profitto o meraviglia liberista.
Liberare i nostri pensieri sarà utile, anzi necessario.