Opinioni & Commenti
La tragedia di Prato, quando parte la «bambola» del circo mediatico
di Mauro Banchini
«Comitiva bimbi scout soccorsa su monte, malori e uno è grave». Tutto, mediaticamente, è partito da un lancio Ansa con questo titolo. Erano le 16.51 di martedì 26 giugno e il lancio partiva da Prato scrivendo attorno a «una cinquantina di scout in escursione sulla Calvana, monte sopra Prato, disidratati e stremati». Nove righe che concludevano con tre notizie: «Molti bimbi non riescono a proseguire per difficoltà fisiche», era la prima; «Stanno male», era la seconda; «Avrebbero camminato per chilometri sotto il sole», la terza.
Pochi minuti dopo (17.02) un secondo lancio: «Arresto cardiaco per un bambino di 11 anni, trasportato in codice rosso a Careggi». E poi si insiste con la storia che «durante la marcia in montagna molti altri bimbi si sono sentiti male». Passano una ventina di minuti e (17.13) altro lancio Ansa per precisare come i bambini non siano scout ma di un gruppo appartenente a una parrocchia dal nome buffo e dai nobili fasti cinematografici: Paperino. Alle 18.08, stavolta da Firenze, ecco la notizia tragica: il bambino «colpito da malore» è morto. Altri lanci, successivi, tengono informati con dettagli sempre più precisi.
Chi non è del mestiere può anche non saperlo, ma se una notizia viene lanciata dall’agenzia più importante che c’è in Italia (l’Ansa), diventa «vangelo». Si racconta che la stessa Rai esiti a passare una notizia in assenza di pubblicazione in Ansa. Questo per dire la serietà di una agenzia che è fuori discussione con i suoi ottimi giornalisti, ma che talvolta e può capitare in questo dannatissimo mestiere può anche sbagliare, in buona fede, qualche dettaglio. Chi, fra noi che facciamo questo lavoro, non ha mai sbagliato? Io, in verità, molte volte.
In questo caso i dettagli sbagliati nella primissima notizia, quella che ha smosso «la bambola del circo mediatico» erano diversi: gli scout non c’entravano nulla ma, soprattutto, sulla Calvana di Prato non esistevano una cinquantina di bambini «disidratati»; non c’erano «difficoltà fisiche» negli altri bambini; nessuno di loro stava male; né avevano camminato «sotto il sole per chilometri».
Era però tardi. Era partita «la bambola»: home page in tutti i siti nazionali di grande informazione, inviati di carta stampata, troupe televisive con il codazzo di colleghi alla ricerca di personaggi locali da intervistare. È la «nuova» frontiera del web interattivo: social network, cinguettii, commenti più o meno disinteressati nel regno del «cazzeggio» (intendo Facebook). Fra le grandi tv c’è chi non si pone scrupoli, diciamo etici, a intervistare ovviamente senza l’assenso dei genitori i bambini appena rientrati dalla Calvana.
E la notizia, in particolare dopo che si è scoperto come la comitiva fosse guidata da un prete (oltretutto con il tonacone), ha tutte le caratteristiche per bucare in un’Italia sempre più scristianizzata e da qualche tempo abituata da scandali e corvi: dalla brutta realtà di questi fatti ma anche da una certa loro versione mediatica a diffidare dei «preti» e con una Chiesa letta, sempre più, in contrasto al messaggio di Cristo.
Qui c’è l’innocenza dei bambini, la fiducia delle famiglie, l’incoscienza del prete che ha portato decine di bambini a disidratarsi sotto il solleone. E c’è, purtroppo autentica, la notizia di una creatura morta.
Il tam tam si ingigantisce. Perfino qualche tg nazionale racconta la storia pratese non con il parametro dei fatti riscontrati e verificati ma secondo il primo sentito dire.
Intendiamoci: nulla da dire se qualcuno ha sbagliato, giustissimo sapere cosa di preciso è accaduto, pretendere il rispetto di regole, ma perché partire subito lancia in resta senza neppure uno spiraglio (un laicissimo spiraglio) di verifica circa ciò che davvero è accaduto durante questa gita in una giornata di oratorio estivo? Perché le verità già pre-costituite?
Emblematiche, queste contrapposte situazioni, sulla contraddizione della nostra professione: da un lato i cittadini sono danneggiati, spesso senza rendersene neppure conto, da una sempre maggiore superficialità con cui siamo tutti costretti (dalla fretta, dallo star dietro allo scoop, dalla concorrenza, dal mercato, dall’abbassarsi di certi paletti deontologici ) a fare questo splendido mestiere; dall’altro lato aumentano le aggressioni, anche fisiche, contro chi cerca solo di fare un lavoro che trova il suo vero senso proprio nella capacità di raccontare, in buona fede e nel rispetto della verità sostanziale dei fatti, ciò che ci accade attorno.
Quanta materia per riflettere…