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Card. Martini: niente a che vedere con il caso Englaro
Alla morte del cardinal Carlo Maria Martini, alcune notizie inesatte sulla fine della sua lunga lotta contro la malattia di Parkinson hanno offerto lo spunto per attaccare gli insegnamenti del Magistero cattolico e per fare del cardinal Martini una specie di contraltare alla dottrina ufficiale.
Martini, intervenendo in passato sulla questione delle terapie del fine vita aveva ribadito l’esclusione dell’eutanasia, ma aveva insistito sulla dignità del malato grave e del morente, sul rispetto delle sue decisioni e sulla legittimità della interruzione di terapie inutili o troppo gravose per lui. A suo tempo alcune interpretazioni forzate delle parole di Martini erano state riprese e corrette da mons. Sgreccia, allora presidente della Pontificia Accademia per la Vita ed esponente di spicco della bioetica personalista. Adesso la notizia che, negli ultimi giorni della sua malattia, il cardinal Martini aveva deciso di non praticare alcune terapie che egli giudicava accanimento, ha dato nuovo fiato a coloro che vogliono dipingere una Chiesa divisa anche su principi etici non secondari, quali il principio di intangibilità della vita personale.
In effetti, dopo molti anni di malattia, dopo la metà del mese di agosto la situazione clinica di Martini si era aggravata ed egli è giunto prossimo allo stato terminale. Il medico curante ha riferito che egli «non è più stato in grado di deglutire nulla, ed è stato sottoposto a terapia parenterale idratante. Ma non ha voluto alcun altro ausilio: né la PEG , il tubicino per l’alimentazione artificiale che viene inserito nell’addome, né il sondino naso-gastrico. È rimasto lucido fino alle ultime ore e ha rifiutato tutto ciò che ritiene accanimento terapeutico». È chiaro che il cardinal Martini, di fronte all’ineluttabile approssimarsi della morte, ha fatto la scelta cristiana di accogliere il compiersi della vita e di non contrastare ulteriormente la patologia che ormai lo stava conducendo alla fine.
Si è parlato di analogie con la triste storia di Eluana Englaro, riportata alla ribalta della cronaca dal film a tesi di Marco Bellocchio. Si tratta di un accostamento quanto mai improprio. La povera Eluana – come tutti ricordiamo – giaceva da molti anni in stato vegetativo, ma le sue condizioni erano stabili, né la sua morte era prossima. Proprio il prolungarsi indesiderato di quella esistenza, priva di coscienza di sé e dell’ambiente, ha spinto alcuni a provocarne la morte attraverso la sospensione della nutrizione e della idratazione. Si è trattato di una vera e propria eutanasia passiva o omissiva, in cui la morte è cercata e ottenuta mediante la sospensione di un presidio terapeutico o assistenziale indispensabili alla sopravvivenza.
Nel caso del cardinal Martini non è stata pratica la alimentazione artificiale perché la morte era ormai prossima e il sondino naso-gastrico non poteva cambiare in modo significativo l’andamento della malattia che scivolava verso la fine, con il rischio, anzi, di procurargli ulteriori inutili.
Non è mai ragionevole, né rispettoso del senso della vita umana e della dignità della persona dare o darsi la morte, ma per lo stesso motivo di rispetto della persona non è mai lecito infliggere al malato sofferenze inutili derivanti da terapie o altri interventi che non incidono più in modo significativo sull’andamento della malattia. Talora il malato rifiuta lecitamente terapie straordinarie che possono dare, cioè, qualche effetto sulla malattia, ma solo con grave rischio o con sofferenze insopportabili. Talora – come era probabilmente il caso del cardinal Martini – si tratta di accanimento vero e proprio, quando l’intervento è inutile e dannoso per la persona. Mons. Sgreccia, parlando alla stampa riguardo alle polemiche sulla morte del cardinal Martini, ha detto: «Io e altri, se ci trovassimo nella stessa condizione, dovremmo fare come lui»,
Il cardinal Martini ci ha dato in vita un luminoso esempio di uomo, di credente, di pastore. Ha testimoniato le ragioni dell’uomo che sono le ragioni di Dio, creatore e alleato dell’uomo. Ha vissuto il suo declino con coraggio, restando lucido sino alla, fine ed ha accolto la morte con fede e dignità. La sua morte è stata il suo ultime grande insegnamento.