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L’intervista a Schettino, un’offesa alle vittime e alla verità
Il giorno dopo il disastro della «Costa Concordia» il comandante Francesco Schettino era già «l’uomo più indifendibile d’Italia». Sua la colpa di averla mandata a sbattere in uno scoglio, per il solo sghiribizzo di un saluto all’isola. Sua l’onta di aver abbandonato la nave prima di tanti passeggeri e di parte dell’equipaggio. Poi arrivò l’audio della telefonata con il comandante Gregorio Maria De Falco, della Capitaneria di Porto di Livorno, con quel «Vada a bordo c.», finito poi su migliaia di t-shirt. E Schettino divenne in tutto il mondo il prototipo dell’italiano cialtrone e gradasso. Ho provato un po’ di pietà per quest’uomo scaraventato d’improvviso nel tritacarne dei media, schiacciato da ironie e gossip. Me lo immaginavo chiuso nel dolore e nel rammarico per quei 32 morti che ha causato e il pesante fardello di aver fatto passare una notte da incubo a 4 mila persone, aver distrutto una costosissima nave da crociera, piagato un’isola e i suoi abitanti, sconquassato la sua vita. E invece, al termine della carcerazione preventiva, che lo aveva costretto al più assoluto silenzio, lo ritrovo tronfio e arrogante nella lunga intervista andata in onda il 10 luglio scorso a«Quinta colonna» («Canale5) e concessa a Ilaria Cava, la stessa giornalista che fece mimare a Michele Misseri l’uccisione della nipote Sarah Scazzi. È vero, Schettino si commuove quando parla della piccola Dayana, 5 anni, ritrovata con il suo abitino da sera quasi 40 giorni dopo il disastro. Ma è l’unico momento di umanità. Per il resto non mostra «pentimento». È convinto di non aver commesso alcun «crimine». Quello del 13 gennaio al Giglio – spiega – è stato «un incidente banale nel quale la fatalità ha trovato breccia proprio nell’interagire tra esseri umani». Tutto colpa di un malauguratissimo «malinteso», «come se tutte le teste, compresi gli strumenti, fossero andati in black-out». Ammette quindi di essersi distratto con il cellulare, ma subito scarica le responsabilità sull’ufficiale che doveva seguire «la direzione della navigazione». Lui, che si sente ancora un «comandante», rivendica invece con orgoglio la «mano divina sulla testa» che gli «ha fatto intuire un qualche cosa da compiere che era importante», riuscendo così a «evitare l’impatto frontale». Insomma, a sentir lui, è un eroe che ha salvato 4 mila persone.
«Bugie imbarazzanti», le ha definite il procuratore capo di Grosseto, Francesco Verusio, che conta di chiudere l’inchiesta entro l’anno. Schettino – ha dichiarato Verusio – «conosce bene la verità, perché gli atti, depositati dal gip, sono anche nelle sue mani. Testimonianze, registrazione di ciò che avvenne in plancia: tutto dimostra quali sono le sue responsabilità. Ed è tutto a sua conoscenza». Il comandante rischia fino a 15 anni di carcere per omicidio plurimo colposo, naufragio e abbandono della nave. Sarà il Tribunale a stabilire se è davvero colpevole e a individuare eventuali altre responsabilità. Ma interviste come questa non servono a nessuno. Non all’imputato, a parte il cospicuo (e vergognoso) compenso che sembra aver ricevuto (ma Canale5 smentisce). Né ai familiari delle vittime e alle persone comunque coinvolte. Né, tantomeno, alla verità.