Sport
Pelè, in ricordo di un re
Il re è morto, lunga vita al re. O Rey per eccellenza, senza possibilità di dubbi, litigi, campanilismi. Più di un re, forse, una leggenda, che mette insieme tutto ciò che in molte lande del pianeta purtroppo è diviso: tre mondiali vinti, maggior numero di gol con la sua nazionale, povertà iniziale, calcio per strada e con palla di stracci, carisma che ha frantumato tutti i luoghi comuni razzisti, capacità di affondare con il suo genio calcistico i confini dettati dai ruoli e dagli schemi, in grado di fermare con quel carisma, anche se solo per 48 ore, la guerra civile in Nigeria nel 1967, perché tutte e due le fazioni contrapposte volevano vederlo giocare a Lagos.
Tanto da essere ricordato all’Onu come promotore dell’amicizia e della fraternità, più di qualsiasi altra carica istituzionale o politica.
Un mito che nonostante la sua scomparsa a 82 umani anni è destinato a sopravvivere nella storia dello sport – non solo del calcio – e della cultura umana, se a cultura diamo il senso di creazione di un immaginario che prima di lui non esisteva, fatto di sport, genio, eleganza, pace, sorriso e strada di collegamento tra razze, culture, tradizioni.
Un messaggio che resta, perché fusione atemporale di fisicità e di spirito, di speranza per tutti, poveri e non. Semplicemente di umanità. Ciao, O Rey, e grazie per il tempo magico che ci hai regalato.