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Russia2018, parla il vescovo ex-arbitro: il calcio? «Ci insegna a fare squadra, ad essere avversari senza violenza»
«Una gioia». Esulta mons. Dominique Lebrun, vescovo di Rouen. È stato per ben tredici anni arbitro della Federazione calcistica della Francia. Raggiunto telefonicamente dal Sir, il vescovo non nasconde la soddisfazione: «È stata una gioia vedere la squadra francese, dopo le difficoltà di alcuni anni fa, riuscire a dare nuovamente il meglio di sé, grazie anche alla giovane età dei suoi giocatori. Non sarebbe comunque, stato un dramma né tanto meno un’ingiustizia se il Belgio avesse vinto. È stata una partita equilibrata».
Che cosa le è piaciuto di più?
«Mi è piaciuto soprattutto il primo tempo nel quale ci sono stati pochissimi cartellini gialli. Ho visto che i giocatori in campo erano ben disposti nei confronti dell’arbitro. Sono stato arbitro e, quindi, mi tocca sempre da vicino vedere quando c’è rispetto. Certo, verso la fine c’è stato un po’ di nervosismo e pressione. I giocatori sono stati meno tranquilli e meno rispettosi. Però è stata una partita aperta fino all’ultimo, di alto livello».
Pare che Kylian Mbappé, l’attaccante del Paris Saint Germain, abbia detto di voler devolvere in beneficenza parte del bonus che i giocatori transalpini riceveranno per la partecipazione al Mondiale 2018. Che tipo di Francia emerge da questa squadra?
«È visibile che i giocatori della nazionale sono figli di famiglie migranti. Ma è una realtà ormai acquisita. Non è da ieri né dall’altro ieri che la Francia è un Paese composto di persone che sono venute da fuori, da altri Paesi e da altri popoli. Credo però che questo elemento abbia oggi meno peso rispetto al 1998 quando fu molto sottolineato: si parlò all’epoca di una Francia “black-blanc-beur”, un gioco di parole che i francesi hanno coniato dopo la vittoria ai mondiali del ’98 per definire il miscuglio di razze che caratterizzava la nazionale di calcio francese (letteralmente, neri, bianchi e magrebini). Oggi questa composizione è la nostra realtà».
È stato il mondiale in cui abbiamo visto la disfatta delle grandi squadre, dall’Argentina, al Brasile…
«Non solo dei grandi ma anche delle squadre africane. Ed è quello che mi è dispiaciuto di più. Di fatto nelle semifinali, ci siamo ritrovati solo le squadre di quattro Paesi europei. Anche i Paesi sudamericani non ce l’hanno fatta. Ma questo fa parte del gioco del calcio: non si sa mai esattamente perché succedono le cose».
Domenica Papa Francesco, amante del calcio, all’Angelus, ha cercato di consolare i brasiliani.
«Sì, sì, ho sentito. Anch’io guardo sempre a quelli che perdono. E di fatto mi è molto dispiaciuto per il Belgio, che è un Paese più piccolo e meno popoloso rispetto alla Francia. Sarebbe stato bello se avessero avuto la possibilità di vincere. Speravo anche di fare una finale con l’Inghilterra per stringere amicizia con questo popolo che lascia l’Europa».
Quale il messaggio, secondo il suo punto di vista, lascia questo Mondiale?
«Lo sport è un gioco. Non dimentichiamolo mai, anche se ci sono professionisti e miliardi di soldi che passano in questo ambiente. Ma è un gioco che coinvolge persone, in tutto il mondo. Il calcio è un’attività di gioco che chiede al giocatore in campo di dare tutto. Chiede gratuità. Può sembrare paradossale parlare in questi termini, in un momento di calciomercato, in cui c’è un giro di miliardi di denaro che circolano, ma questa gratuità è insita nello sport. Il calcio poi suscita sentimenti di appartenenza e partecipazione molti forti dentro di noi. Tocca il cuore, il profondo e anche le nostre pulsioni più intime. Può essere, allora, una scuola di vita molto profonda che ci insegna e ci chiede: cosa diamo agli altri? Come ci rapportiamo con gli altri? Siamo capaci di fare squadra ed essere avversari senza violenza, per costruire insieme, ciascuno con i propri talenti e capacità, un bel gioco?».