Arte & Mostre
L’Immacolata nell’arte. Così Leonardo anticipò il dogma
Gli artisti fiorentini hanno rappresentato Maria in ogni momento ed evento della sua vita storica, metastorica e leggendaria. Nelle loro mani i temi tipici dell’iconografia mariana si sono dilatati, diventando occasioni di profonda, spesso mistica riflessione. Hanno dipinto e scolpito la Madre di Dio come la «tutta santa», ma anche come un essere umano e soprattutto come una donna. Il saggio di Verdon vuole, in questo senso, suggerire, con alcuni esempi, questa originalità e questa profondità. Non tratta tutti i maestri e tutte le opere, ma racconta e collega tra di loro episodi tipici di un’indagine durata quasi mille anni: una ricerca che, in Maria dipinta e scolpita, ha fatto vedere a Firenze e al mondo la bellezza della vita di fede cristiana.
In libreria in questi giorni è arrivato anche quello che può essere definito il libro di testo per la catechesi attraverso l’arte. A curarlo, per le Edizioni Dehoniane di Bologna (pp. 268, euro 41,30), è stato lo stesso monsignor Verdon. I testi raccolti, sotto al titolo Arte e catechesi. La valorizzazione dei beni culturali in senso cristiano, portano la firma, tra gli altri, dell’arcivescovo Ennio Antonelli, del teologo Bruno Forte, della storica dell’arte Maria Fossi Todorow. Viene anche riproposta in forma integrale la Nota pastorale del 1997 dei vescovi della Toscana, La vita si è fatta visibile. La comunicazione della fede attraverso l’arte. «Questa Nota spiega Verdon è l’unico documento in tutta la storia della Chiesa che parli con precisione di come il patrimonio artistico possa essere utilizzato nella comunicazione della fede. Ci domandiamo oggi continuamente come comunicare i valori e i contenuti del cristianesimo, della tradizione cristiana, e ci accorgiamo che è difficile. Il mondo in cui viviamo non ci lascia lo spazio. Saper usare questa ricchezza straordinaria che è l’arte sacra, ci offre una grande opportunità per comunicare la fede».
La Conferenza episcopale italiana, che ha di fatto commissionato il volume, ha creduto importante in questo momento, soprattutto sulla scia del Giubileo, di stimolare le diocesi italiane a mettere in piedi una struttura simile a quella che, per volere del cardinale Silvano Piovanelli e del lavoro di Maria Fossi Todorow, è nata a Firenze diversi anni fa. «Siamo stati dei pionieri dice ancora monsignor Verdon , ma era anche ovvio, visto che Firenze è città d’arte al massimo livello. Ma ora, questo libro, può aiutare chiunque voglia mettersi in grado di presentare il patrimonio artistico in senso cristiano».
Monsignor Timothy Verdon è nato nel New Jersey nel 1946: è uno storico dell’arte formatosi alla Yale University. Vive in Italia da trent’anni e dal 1994 è sacerdote a Firenze, dove dirige l’Ufficio diocesano per la catechesi attraverso l’arte. Coordinatore di convegni internazionali su argomenti relativi all’arte religiosa, è autore di libri e articoli in inglese e in italiano, tra cui «L’arte sacra in Italia. L’immaginazione religiosa dal paleocristiano al postmoderno» (Milano, Mondadori, 2001). È Canonico del Duomo, membro del Consiglio d’amministrazione dell’Opera di Santa Maria del Fiore, membro dello Harvard University Center for Italian Renaissance Studies e docente presso la Stanford University e la Facoltà teologica dell’Italia centrale. Fa parte del Forum permanente del Progetto culturale della Cei ed è Consultore della Pontificia commissione per i beni culturali della Chiesa.
Monsignor Verdon, il dogma dell’Immacolata Concezione è relativamente recente: risale al 1854 ad opera di Pio IX. Però, si è arrivati alla proclamazione perché nel corso dei secoli la Chiesa aveva già preso coscienza che Maria era stata redenta fin dal suo concepimento. Ci sono artisti che in qualche modo hanno per così dire anticipato il dogma?
«L’evoluzione del dogma, in questo caso come in altri, corrisponde effettivamente ad un fermento plurisecolare all’interno della vita di preghiera e dell’esperienza contemplativa della Chiesa. Indizi precoci di questa volontà da parte dei cristiani di vedere in Maria un luogo santo preparato da Dio con un compito unico nella storia dell’umanità, si riscontrano soprattutto nel tardo Medioevo con le raffigurazioni dell’incontro tra Gioacchino ed Anna presso la Porta d’Oro di Gerusalemme. Infatti, nella Legenda aurea di Jacopo da Varazze si parla di come al ritorno di Gioacchino dalla sua esperienza visionaria nel deserto, dove si era rifugiato dopo essere stato espulso dal tempio, incontra la moglie sulla Porta d’Oro. Gli artisti vedono nell’abbraccio tra i due coniugi anziani e infecondi l’allusione a un abbraccio che produce un figlio: un modo discreto ma mirato per suggerire che nella nascita di Maria avviene qualcosa di simile a ciò che avviene nella nascita di Cristo. La Chiesa ovviamente non pretende che Maria nasca senza il congresso umano, ma la pietà del Due e del Trecento già cercava un modo di articolare il senso cristiano che Dio non poteva far nascere suo Figlio da chiunque e in un modo ordinario. Quindi si tende a voler attribuire a Gioacchino ed Anna una sorta di concepimento virginale, anche se questo non è il senso dell’Immacolata Concezione, però è collegato. Altro indizio precoce è l’insistenza sul concetto che Dio avesse pensato a Maria dall’eternità. In Dio, infatti, non vi sono tempi diversi, per Lui è sempre presente, e da quando pensa a salvare il mondo in Cristo, pensa anche all’incarnazione e quindi al veicolo, al tempio che dovrà ospitare il seme divino. Ad esempio, nella splendida cupola del Battistero di Padova, dipinta nel secondo Trecento da Giusto dei Menabuoi, c’è, nella parte bassa, tra il grande Cristo giudice e il Verbo creatore, c’è Maria (seconda figura per grandezza) avvolta in un bellissimo manto blu, che collega Colui che viene alla fine dei tempi con Colui che crea il mondo. L’immagine suggerisce che parte integrante dell’idea divina di creare è anche la piena consapevolezza che ciò che Dio avrebbe creato avrebbe poi avuto bisogno di essere salvato. Quindi, con un unico atto, Dio crea, prepara la redenzione e per preparare la redenzione configura la persona umana in cui sarà possibile far nascere Colui che salverò l’uomo».
In Toscana, in particolare, c’è un’opera precedente al dogma, che non può quindi essere intitolata «L’Immacolata», ma che, facendo una forzatura, potremmo anche intitolare così, magari un’opera conosciuta?
«Un’opera precoce, e sempre riferita al soggetto dell’incontro tra Gioacchino ed Anna alla Porta d’Oro, potrebbe essere negli affreschi di Taddeo Gaddi in Santa Croce a Firenze. Ma per fare un esempio molto più celebre possiamo ricorrere ad una delle opere che alcuni storici hanno associato all’idea dell’Immacolata Concezione: è un’opera toscana anche se è stata dipinta a Milano e oggi si trova a Parigi: la Vergine delle rocce, pensata da Leonardo da Vinci prima di lasciare Firenze. Nel dipinto si vede Maria in una grotta misteriosa. Il riferimento è al Cantico dei Cantici dove lo sposo parla della sua amata sposa come di una colomba nascosta nelle fenditure delle rocce e questo viene interpretato come l’allusione a una predestinazione: come le montagne sono eterne, come i fossili nelle rocce appartengono al momento sorgivo della terra stessa, così, insieme alla terra, Maria nasce nel cuore stesso del creato come predestinata al compito di Madre di Dio. Maria è al centro, con San Giovannino alla sua destra e il Bambino Gesù benedicente alla sua sinistra. Molti hanno detto che Maria porta Giovanni verso suo figlio. In realtà, se si guarda bene, non è così: la mano destra di Maria sulla schiena di Giovanni non lo spinge, anzi: cerca di trattenerlo perché Giovanni è il profeta della futura morte di Gesù. Il polso di Maria, piegato innaturalmente, le lunghe dita inarcate che premono sulla schiena del Battista e il pollice rigido non comunicano accoglienza ma, al contrario, trattengono e tirano indietro. L’unico ruolo che Giovanni ha nel Nuovo Testamento è quello di precursore, che precorre in tutti i sensi, anche morendo prima, e che annunzierà che il figlio di Maria è l’agnello da immolare. Quindi Giovanni si vuole avvicinare a Cristo, ma Maria non lo vuole, perché è madre: non vuole che qualcuno predica la morte a suo figlio. Cristo, invece, con serenità accoglie il profeta della sua futura morte, anzi: lo benedice con lo stesso segno della sua morte, la croce. Maria con l’altra mano cerca di proteggere il figlio in un gioco artistico straordinario per l’epoca. Leonardo fa vedere la discesa della mano sinistra di Maria per accarezzare e proteggere la testolina del figlio. Ma la mano non arriva alla testa del bambino perché c’è la quarta figura: un angelo che si inserisce con un gesto molto chiaro a interrompere la discesa della mano. E il suo gesto è verso il Battista. Quindi comprendiamo la volontà di Leonardo di dirci che Maria, in quanto donna e madre, avrebbe voluto proteggere suo figlio, ma questa non è la volontà di Dio e quindi un angelo viene mandato per rendere impossibile la materna protezione ad un figlio chiamato invece ad accogliere la vocazione che gli viene annunciata da Giovanni. Maria, pur nella sua umanità desiderosa di proteggere il figlio, continuerà a dire di sì a tutto ciò che l’incarnazione del figlio implica. E questo lo può fare solo una creatura senza peccato. In sintesi, la Vergine delle rocce ci parla di un piano divino preparato dall’eternità, ma che in nulla contraddice la piena umana libertà della persona: Maria rimane donna e madre, che vorrebbe salvare il figlio, che soffre quando non lo può fare, ma accetta la volontà di Dio anche perché è una creatura concepita senza peccato».
Così si esprime il «Catechismo della Chiesa cattolica» dal paragrafo 490, che poi riporta il testo del proclama del dogma: «La beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale».
Persino i protestanti e il Corano parleranno sempre della Madonna come di persona «doppiamente vergine», «semprevergine», «intatta», «integra». «Proprio questi aggettivi riferiti alla purezza fisica inducono probabilmente alla confusione con l’altro, un po’ più tardo, attributo della Madre di Cristo: l’Immacolata Concezione. In realtà, anche questa caratteristica è antica: i teologi dei primi secoli vi alludono almeno implicitamente e la sua festa viene attestata in Oriente già dall’VIII secolo». Poi, come spiegano gli autori del volume, «continuò a espandersi popolarmente anche in Occidente, fissandosi all’attuale data dell’8 dicembre. In seguito il Concilio di Trento, nel 1556, si pronunciò a favore e così successivamente alcuni papi e ordini religiosi. Ma fu solo Pio IX dopo aver svolto una sorta di referendum di consultazione tra 600 vescovi a proclamare nel 1854 l’Immacolata Concezione come dogma».