Arte & Mostre
Così Leonardo impastava i colori. Fisica svela la tecnica
Leonardo non creava i colori sulla tavolozza ma li riproduceva direttamente sul dipinto, mediante strati sottilissimi di tonalità diverse che l’osservatore vedeva come colore finito. Di questa particolare tecnica, cifra stilistica del genio da Vinci, finora si sapeva per averla letta nei suoi numerosi manoscritti. Adesso invece è stato possibile averne la prova empirica in un dipinto di Leonardo, la ‘Madonna dei Fusi’, grazie a studi che hanno utilizzato fasci di particelle atomiche.
La scoperta verrà presentata alla nona edizione di Ecaart 2007, conferenza internazionale sulle applicazioni degli acceleratori di particelle che si svolgerà a Firenze dal 3 al 7 settembre con la partecipazione dei maggiori specialisti di oltre 30 paesi.
La tecnica pittorica di Leonardo è stata studiata per oltre tre mesi dall’Opificio delle pietre dure di Firenze, punto di riferimento nazionale per il restauro, e dal Labec, il laboratorio di tecniche nucleari per i beni culturali che fa capo all’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e che opera presso il Polo scientifico di Sesto Fiorentino, organizzatore dei Ecaart.
“Abbiano studiato – spiega Cecilia Frosinini, storica dell’arte e responsabile del settore restauro dei dipinti dell’Opificio – in particolare il disegno preparatorio del dipinto ma anche la stratificazione dei pigmenti di colore attraverso analisi assolutamente non invasive per non intaccare minimamente un’opera così preziosa e delicata, sottoponendo il dipinto, tra l’altro, a fasci di subparticelle atomiche”.
Il risultato, appunto, è la conferma di come Leonardo impastava il colore che desiderava, non sulla tavolozza ma direttamente sulla tela, in modo che fosse l’occhio dell’osservatore a combinare la mistura finale.
I beni culturali, spiegano gli organizzatori di Ecaart, sono uno dei settori che dagli acceleratori hanno tratto maggiori benefici. Con il loro Tandem (una modernissima macchina da 3 milioni di volt costata 4 milioni di euro) i ricercatori del Labec sono in grado di scoprire gli elementi chimici di pigmenti, leghe metalliche, inchiostri antichi, offrendo così non solo indispensabili informazioni al mondo del restauro, ma anche responsi spesso determinanti per accertare l’autenticità di un’opera.
Tra le più note studiate al polo scientifico fiorentino, oltre alla ‘Madonna dei Fusi’, anche il ‘Ritratto di ignoto’ di Antonello da Messina, la ‘Croce di Rosano’ e i manoscritti di Galileo. (ANSA).