Arte & Mostre
I Della Robbia e la «ricetta» della terracotta invetriata
di Lorenzo Canali
Argilla, smalto e fuoco. Tre ingredienti di una «ricetta» misteriosa dove la terra si fa smalto e la scultura si mescola alla pittura. Una formula artistica di una provenienza ignota, forse in parte mutuata da radici bizantine, forse in parte d’origine spagnola. Tre elementi grazie ai quali una famiglia, i Della Robbia, tra il 1300 e il 1500 costruì le proprie fortune dando vita a capolavori in terracotta invetriata che conquistarono mezza Europa e che affascinarono anche un altro grande artista come Giorgio Vasari che definì la tecnica dellarobbiana «meravigliosa pratica».
Arezzo e la sua provincia rendono omaggio a questa straordinaria dinastia di artisti, che va da Luca (1435-1525), a Girolamo Della Robbia (1488-1566), passando per Giovanni (1469-1529-30), Francesco (1477-1527), Marco (1468-1534) e Luca il giovane (1475-1548), con un evento che coinvolge quelle terre «intra Tevere e Arno», che sono tra le principali custodi delle opere della famiglia fiorentina. Lo fa con la mostra «I Della Robbia. Il dialogo tra le arti nel Rinascimento» che è stata inaugurata lo scorso fine settimana e che proseguirà fino al 7 giugno. Un’esposizione che propone un percorso alla scoperta dell’affascinante mondo della terracotta invetriata e del suo rapporto con le altre arti che caratterizzarono il Rinascimento. Centotrentuno le opere in vetrina fra quelle della vera e propria mostra e quelle disseminate in venticinque località e sessanta siti dell’Aretino che compongono un itinerario che parte idealmente da Arezzo, dove, nel Museo statale d’arte medievale e moderna, sono ospitate numerose opere provenienti dagli Uffizi di Firenze o dal Louvre di Parigi e prosegue tra le valli aretine, dalla Valdichiana alla Valtiberina, fino ad arrivare a Casentino e Valdarno, passando per i musei, le chiese e le pievi della provincia che hanno la fortuna di essere impreziosite dai capolavori dei Della Robbia, come l’annunciazione nel santuario francescano de La Verna o il tempietto robbiano nel museo della Collegiata di Montevarchi.
«Quella dei Della Robbia spiega il presidente della provincia di Arezzo, Vincenzo Ceccarelli, che ha voluto la mostra è una storia da raccontare al mondo. Con questa rassegna, offriamo l’opportunità ai visitatori di approfondire gli anni nei quali la grande famiglia fiorentina seppe lasciare un segno indelebile nella storia dell’arte, ammirando nella mostra di Arezzo anche altri capolavori dell’arte di quel fecondo periodo. A tutto ciò si aggiunge l’occasione di unire alla visita della mostra centrale la possibilità di seguire i tanti itinerari che si snodano attraverso le valli aretine».
Punto di partenza della mostra curata da Giancarlo Gentilini e da Liletta Fornasari è l’esperienza di Luca della Robbia, celebrato da Leon Battista Alberti tra i padri del Rinascimento, che nelle sue opere si rivela capace di far convergere e declinare varie forme d’arte: dalla scultura al disegno. È proprio a partire da questa poliedricità che viene proposto il confronto che caratterizza l’esposizione aretina, in un continuo rimando dalla terracotta alla pittura, sino a giungere alla scultura, all’architettura e a tutte le forme d’arte che caratterizzarono il Rinascimento toscano. Ecco allora comparire, nella sede espositiva aretina, accanto alle Madonne con angeli di Luca Della Robbia da quella in rilievo proveniente dal Louvre a quella del medaglione prestato dal museo di Casa Siviero a Firenze anche i dipinti di Pisanello e Filippo Lippi, da esse profondamente influenzate. Rimandi, incroci, suggestioni che diventano via via più incisivi nelle produzioni di Andrea e poi in quelle di Giovanni, Luca «il giovane» e Girolamo. Così in mostra compare l’eclatante esempio del «Cristo in pietà» di Andrea Della Robbia, prestato dalla Cassa di risparmio di Firenze, affiancato a quello dipinto dal Perugino e proveniente dalla galleria nazionale dell’Umbria. E come in un continuo gioco di specchi il confronto, all’interno dell’allestimento, prosegue con l’altorilievo della «Madonna col bambino avvolto nel manto» di Donatello che dialoga in modo leggiadro e spontaneo, con la «Madonna con bambino fra sei angeli» di Luca Della Robbia per tornare ancora all’altorilievo della «Madonna col bambino» di scuola Ghiberti.
Un discorso che poi s’allarga ai borghi della provincia aretina dove si trovano numerose terrecotte robbiane. «L’organizzazione di questa mostra spiega Liletta Fornasari ha rappresentato una straordinaria occasione di catalogazione e di recupero delle opere dei Della Robbia che non ha precedenti. Un lavoro che ha permesso di riportare alla luce e far conoscere al mondo ben trenta inediti». Un evento straordinario che valorizza «sculture in terra» nati da tre semplici elementi: argilla, smalto e fuoco.
Ma è in modo particolare con i domenicani che i Della Robbia hanno un rapporto particolarmente significativo. È Girolamo Savonarola la figura a cui più di tutte la famiglia fiorentina sarà legata. A dimostrarlo ancora una volta è Giorgio Vasari nella sua opera monumentale «Le vite» e soprattutto il fatto che i due figli di Andrea Della Robbia entrarono nel convento di San Marco a Firenze, ricevendo l’abito bianco proprio dalle mani del Savonarola. Ed è Andrea ad essere tra coloro che testimonieranno in favore del Savonarola e della sua «buona dottrina». «Questo stretto legame spiega ancora Gentilini si tradusse in una produzione molto vicina allo stile dei pittori savonaroliani. Una produzione che interpreta a pieno le istanze rigoriste del domenicano».
Tra i principali frutti di questo intenso rapporto tra i Della Robbia e gli ordini religiosi ci sono le numerose terrecotte che impreziosiscono santuari e chiese della Toscana (e non solo) e che in pieno Rinascimento affascinarono tutto il continente. Capolavori che, grazie all’evento aretino «I Della Robbia. Il dialogo tra le arti nel Rinascimento», vengono pienamente valorizzati. Sono proprio le chiese e i santuari delle provincia di Arezzo, infatti, a fare da sfondo all’evento robbiano. Luoghi incantevoli e pieni di spiritualità come La Verna, dove sono custodite alcune tra le più belle terrecotte di Andrea, come la «Madonna della Cintola», la «Natività» e la «Pietà», o ancora come la chiesa di Santa Maria in Gradi ad Arezzo dove si trova la «Madonna della Misericordia» detta anche «dei cocci», sempre della scuola di Andrea. Ci sono poi gli inediti, circa una trentina, ospitati nella sede centrale della mostra, il Museo d’arte medievale e moderna di Arezzo. «Si tratta di opere mai viste spiega Gentilini . Come, ad esempio, un fregio in marmo, opera di Luca il giovane, che riprende i motivi dei sarcofaghi romani e che testimonia la sua sensibilità archeologica. O ancora un’Annunciazione invetriata che può essere inserita di diritto tra i capolavori della scuola di Andrea».