Numeri che la riportano ai livelli di qualche anno fa, nonostante i tempi di pandemia che abbiamo attraversato e stiamo attraversando. «Queste cifre – sottolinea il preside, don Stefano Tarocchi – pongono certamente la Facoltà dell’Italia centrale in una posizione di rilevo rilievo fra tutte le facoltà teologiche italiane esistenti: sette in tutto, oltre alle facoltà nelle università pontificie romane». La Facoltà ha attualmente 50 docenti.Di questi duecentocinquanta studenti, spiega don Tarocchi, «centodiciotto sono iscritti al quinquennio istituzionale, cinquantaquattro in totale alle due licenze in teologia e scienze bibliche e in teologia dogmatica (le due specialistiche di secondo livello che caratterizzano le istituzioni ecclesiastiche come la nostra, e il cui raggiungimento permette l’insegnamento all’interno di altro istituto teologico affiliato). Ben quarantatré studenti sono iscritti al dottorato, che costituisce il culmine degli studi di teologia secondo l’ordinamento tutelato dalla Santa Sede, e permette l’insegnamento in una facoltà o università. Da quest’anno è stata istituita anche una scuola di dottorato, per accompagnare il percorso accademico dei dottorandi».A tutto questo si aggiunge anche un numero cospicuo di persone (ventisette per l’esattezza) che frequentano le due scuole di alta formazione che sono state istituite all’inizio dell’anno accademico corrente: la scuola di teologia e arti e la scuola di ecumenismo. Due novità che hanno riscosso subito un grande interesse. Nell’ordinamento ecclesiastico esse tengono il posto dei master che nel mondo accademico italiano sono parte integrante dell’offerta formativa.«Se andiamo a guardare all’interno dei dati – afferma ancora il preside – scorgiamo che circa un terzo degli studenti sono laici e laiche (rispettivamente il 22% e il 16%; in cifra reale rispettivamente cinquantacinque e quarantuno). Coloro che si preparano agli ordini sacri provenendo dai seminari delle diocesi che afferiscono alla facoltà (sono il 16%; quaranta in cifra reale) e il 14% sono religiosi (numericamente trentaquattro). Ad essi si deve aggiungere un 6% di religiose, sempre all’interno della cifra totale. Infine, il 25% degli iscritti è costituito da chi ormai è arrivato al presbiterato e completa il percorso di formazione dalla licenza al dottorato». Gli studenti provengono geograficamente dall’Italia (complessivamente centosettantasette), dall’Africa (quarantuno) e dall’Asia (venti, di cui quindici della sola India).«Come molte strutture accademiche – precisa ancora don Tarocchi – anche la nostra Facoltà presenta fenomeni di abbandono della formazione: alcuni che hanno cominciato gli studi e non hanno raggiunto nessun titolo accademico, magari soltanto perché non hanno completato gli esami o le rispettive tesi da presentare. Una delle nostre iniziative più sentite è proprio quella di cercare di condurre anche tanti studenti, che hanno cominciato gli studi senza terminarli, a raggiungere questo livello anche in ordine all’auspicato riconoscimento civile dei titoli ecclesiastici come avviene in gran parte dei paesi europei. Questo, naturalmente, oltre ciò che prevede l’attuale concordato fra Italia e Santa Sede che riconosce genericamente il titolo di studi ma non il loro reale contenuto. Quando questo obiettivo sarà raggiunto, speriamo in tempi rapidi, sarà possibile anche una maggiore osmosi fra gli studenti delle nostre facoltà teologiche italiane e quelle delle facoltà statali e private dell’Italia e dei paesi europei».A tutto questo va aggiunto un preciso approfondimento dello studio delle lingue necessarie per il completamento efficace degli studi teologici (greco, latino ed ebraico), cui si accompagna anche lo studio della lingua italiana per i non madrelingua: la prospettiva, spiega il preside, «è di proporlo agli studenti che si apprestano a studiare in Italia, ancora prima del loro arrivo, per permettere a tutti di ottenere il massimo dai loro studi una volta arrivati a Firenze. Ciò permette anche di accompagnare quanti hanno computo o completato gli studi della teologia in Firenze, nel trasportare nei paesi di origine anche la cultura che contraddistingue il Paese in cui viviamo, e la città di Firenze, dove operiamo, in modo particolare».