È una storia curiosa, quasi romanzesca, quella del reliquiario a forma di busto di sant’Andrea conservato nel Museo diocesano di Pienza. Una storia raccontata, nei suoi dettagli, nel libretto «La reliquia di Sant’Andrea. Da Patrasso a Pienza e il suo ritorno a Patrasso» con testi di Manlio Sodi, Costanza Contu, Nino Petreni, Vera Giommoni, Arianna Antoniutti e la prefazione del cardinale Augusto Paolo Lojudice, pubblicato dalla Società bibliografica toscana.La testa del santo era dall’antichità conservata a Patrasso, in Grecia. Il timore per l’arrivo degli Ottomani, nel Quattrocento, spinse a portare la reliquia a Roma: la Chiesa bizantina l’affidava alla Chiesa romana, perché la custodisse. Pio II Piccolomini, il papa che aveva creato la «città ideale» sulle colline toscane, fece costruire da un orafo fiorentino, Simone di Giovanni Ghini, il grande reliquiario, impreziosito di gemme, per accogliere il cranio del primo degli Apostoli. Decise anche, però, di inviare al duomo di Pienza il più piccolo reliquiario bizantino arrivato da Patrasso (anch’esso riproducente il volto di sant’Andrea) con un frammento osseo della reliquia.Passano 500 anni, e la storia fa il suo corso: a Roma si sta svolgendo il Concilio ecumenico Vaticano II, e tra i tanti temi sul tavolo c’è proprio quello dell’unità dei cristiani. Quando da Patrasso arriva la richiesta che la reliquia venga restituita, Paolo VI coglie l’occasione per compiere un gesto che può assumere grandi significati di comunione. E uno degli aspetti al quale il Papa tiene, è che la testa del santo venga restituita all’interno del reliquiario bizantino originale con cui era stata portata a Roma nel 1462.Così, nel 1964, si inizia in gran segreto a organizzare la restituzione. Privare la città della reliquia del suo patrono, però, non è facile. A don Aldo Franci, cancelliere della diocesi, il compito di cercare di spiegare le ragioni di questo gesto che, nel contesto ecumenico «è destinato ad avere una grandissima ripercussione in tutto il mondo cristiano, i cui effetti, affidati del resto alla Divina Provvidenza, non sono oggi nemmeno prevedibili. Pienza e i pientini avranno un loro merito particolare, e debbono essere santamente orgogliosi di contribuire in qualche modo alla realizzazione dei disegni di Dio». La scelta però, condivisa dal vescovo e dal clero, non è stata preparata nel modo giusto. E lo stesso don Franci, nei suoi diari, annota le reazioni e le proteste accese «venute da chi meno frequenta la Chiesa o da chi le è assolutamente ostile». Il giorno dopo, domenica, il vescovo Carlo Baldini arriva per pregare davanti alla reliquia. Don Franci scrive: «L’ostilità è sempre accesissima: tanto che si è giunti a bucare tutte quattro le gomme dell’auto vescovile, e quando alle 14 la S. Reliquia ha lasciato definitivamente Pienza con l’auto sostitutiva di P. Lucio Migliaccio, segretario e autista del vescovo, le proteste sono esplose, e sono continuate vivissime per tutta la serata».Pochi giorni, dopo, il 22 settembre 1964, il diario di don Franci è di tutt’altro tono: «Giornata grande! Memorabile per la storia di Pienza». La testa di sant’Andrea, ricollocata nel reliquario bizantino che per 500 anni era stato conservato a Pienza, è posta alla venerazione dei duemila padri conciliari, nella basilica di San Pietro, e restituita alla Chiesa di Patrasso. Dopo la solenne celebrazione, annota don Franci, Paolo VI riceve in udienza la delegazione di Pienza e ringrazia «per l’intelligente sensibilità religiosa avuta e per la pronta e generosa comprensione». In cambio Pienza avrà il reliquiario prezioso fatto costruire da Pio II. «Il santo Padre – conclude don Franci – ringrazia tutti, clero, autorità, fedeli e tutti benedice con gran cuore».Una storia che vale al pena ricordare, tanto più nei giorni della festa di sant’Andrea. Scrive nella prefazione il cardinale Lojudice: «Nella solennità del 30 novembre il Duomo di Pienza si fa ancora più luminoso – al di là delle brume autunnali – per le espressioni di fede con cui i presenti continuano ad affidarsi alla protezione di sant’Andrea».Riccardo Bigi