Cultura & Società

«Bisogna dire no all’oppressione»: quando La Pira, contro Breznev, rinunciò ai viaggi a Praga e Mosca

Dopo il viaggio del 1959, Giorgio La Pira sarebbe dovuto tornare a Mosca nel 1968. A bloccare tutto però fu la repressione sovietica delle manifestazioni in Cecoslovacchia, quando i carrarmati arrivarono a bloccare la «primavera di Praga». Il «sindaco santo» di Firenze, da sempre aperto al dialogo con Mosca e con il mondo comunista (tanto da subire, per questo, forti critiche) spiegava così la sua contestazione all’intervento deciso dal presidente sovietico Breznev: «Vi sono momenti della vita (privata e pubblica) nei quali bisogna con estrema fermezza dire “no” all’oppressione che opprime il debole!»È una delle tante vicende inedite e sconosciute del «sindaco santo» di Firenze che adesso vengono raccontate nel libro di Claudio Turrini e Giovanni Spinoso «Giorgio La Pira: i capitoli di una vita» (Firenze University Press). Un volume di oltre duemila pagine che per la prima volta si avvale, per ricostruire la biografia, dei quaderni-diario di La Pira e di materiale inedito (appunti, lettere, telegrammi) dagli archivi della Fondazione La Pira.Proprio a Praga si svolse, nell’ottobre del 1968, un convegno promosso dalla Federazione mondiale delle città gemellate: un organismo internazionale di cui La Pira era stato nominato presidente un anno prima, nel 1967. Il Professore (come lo chiamava, e ancora oggi lo chiama, chi lo ha conosciuto e frequentato) aveva trascorso nella capitale cecoslovacca alcuni giorni nel periodo Pasqua, insieme a Giorgio Giovannoni, per preparare l’evento. Aveva avuto colloqui con il sindaco Ludvik Cerný, il ministro degli Esteri Jiri Hajek e mons. Frantisek Tomasek, amministratore apostolico dell’arcidiocesi praghese. Il nuovo corso in Cecoslovacchia, intrapreso da Alexander Dubcek, non poteva non interessarlo. «Una Europa “unita” dall’Ovest e dall’Est, attraversando il ponte di Praga», annota il 13 aprile (Sabato Santo) sul suo quaderno-diario. Spera in una ripresa del «grande viaggio storico» iniziato da Giovanni XXIII, da Kennedy e Krusciov: una stagione di speranza per il mondo, interrotta dalla morte dei tre protagonisti. Segue le vicende cecoslovacche e si adopera perché non vengano soffocate da Mosca.Il 4 luglio ha in programma una lunga conversazione con l’ambasciatore sovietico Nikita Ryzhov. La Pira – scrivono Turrini e Spinoso – aveva anche ricevuto gli inviti formali a visitare Cuba, la Tunisia, la Jugoslavia, la Romania, come pure l’invito ad andare di nuovo in Unione sovietica. L’idea di tornare a visitare Mosca – secondo la struttura ormai consolidata (incontri con esponenti di Stato, Chiesa e città) – lo attira molto. Lo spiega in una lunga lettera a Nikita Ryzhov, dove ribadisce la sua «ipotesi di lavoro», ovvero la «strada di Isaia» (trasformare le spese militari in spese di pace) e ricorda con molti dettagli la visita in Urss del 15 agosto 1959, data scelta «consapevolmente», «per pregare e operare sotto la ispirazione della purissima Madre di Cristo e dei popoli». E commenta: Lei, Eccellenza, non si meravigli di questa mia strutturazione religiosa dell’azione politica: Krusciov e la dirigenza politica sovietica del tempo (e di oggi) accettarono pienamente questa strutturazione tanto caratteristica, che aveva come fine concreto la pace del mondo e l’unità e la giustizia del mondo: l’accettarono e mi fecero liberamente svolgere il pio “piano”, insieme orante e politico.Non essendo possibile fare il viaggio in agosto, fu scelta un’altra data dal profondo significato mariano: La Pira sarebbe dovuto partire l’8 settembre, festa della Natività di Maria.Nella notte tra il 20 e il 21 agosto, soldati e carrarmati dall’Unione Sovietica invadono la Cecoslovacchia, entrando dalla Germania Est. I paesi occidentali si limitano a osservare e protestare, si era in piena guerra fredda e ogni intervento in paesi socialisti avrebbe rischiato di scatenare un conflitto atomico. In molti (si calcola trecentomila in tutto) fuggono verso l’Ovest. La stagione di riforme e concessioni, definita la «primavera di Praga», viene bruscamente interrotta. Inizia un periodo di «normalizzazione», per riportare la Cecoslovacchia sotto l’influenza del partito comunista sovietico. Iniza però anche, nell’opinione pubblica, una perdita di fiducia verso un regime che si rivela dispotico. Mentre molti guardano con preoccupazione ai fatti di Praga, Giorgio La Pira, nel suo stile profetico, intravede i germi di una spaccatura nel mondo comunista e nel suo diario scrive: «si spezza in modo irreversibile il “dispotismo sovietico”: fiorisce (nella sofferenza e nel sangue cecoslovacco) l’alba della nuova stagione europea». Ci vorranno ancora vent’anni per arrivare al 1989, al crollo del muro di Berlino e dei regimi comunisti.Nel frattempo però La Pira rinuncia al viaggio a Mosca fissato per settembre. Ne informa anche la Santa Sede con poche, ma eloquenti parole: «era necessario rinviare: poi si vedrà». Il clima politico, dopo i carri armati sovietici a Praga, era alquanto teso. Rinuncia anche all’iniziativa europea che la Federazione delle città gemellate aveva programmato a Praga dal 7 al 10 ottobre. Della decisione informa il 2 ottobre l’ambasciatore sovietico Nikita Ryzhov, sottolineando di essere stato lui stesso a proporla, ma ritiene che non sia al momento opportuna: «Fatta oggi, questa iniziativa è priva di quel significato politico unitivo dell’Europa (Est/Ovest) che essa doveva, invece, avere. Oggi essa diverrà motivo di divisione e di polemica: non giova a nessuno e nuoce a tutti. Ecco, Eccellenza, perché io non intervengo».L’iniziativa si svolse ugualmente (causando un profondo dissenso tra La Pira e il fondatore della Federazione delle città gemellate, Jean-Marie Bressand). Da Praga, il giorno stesso in cui si chiusero i lavori, il domenicano padre Féret scrive a La Pira. Si dice dispiaciuto per la sua decisione di disertare l’appuntamento, che a suo dire aveva avuto comunque risultati positivi. La risposta chiarisce il pensiero di La Pira: «La Provvidenza trae il bene da ogni evento! Penso però che il mio atteggiamento di chiara “contestazione” su ciò che aveva compiuto contro la Cecoslovacchia l’Urss, era necessario: vi sono momenti della vita (privata e pubblica) nei quali bisogna con estrema fermezza dire “no” all’oppressione che opprime il debole! Si disse “no” fermamente a Johnson (per il Vietnam): si doveva ora con pari fermezza dire “no” a Breznev!»