Saranno eseguiti estratti dalla «Missa pro Defunctis» composta nel 1917 da Francesco Bagnoli, durante una sua convalescenza da combattente, e da lui dedicata «Ai Soldati caduti per la Patria». Recuperata negli archivi del Seminario di Firenze, probabilmente viene eseguita per la prima volta. La musica sarà eseguita dalla Cappella Musicale di San Lorenzo, diretta dal maestro Umberto Cerini (che è anche revisore della partitura di Bagnoli) e accompagnata all’organo da Riccardo Torricelli. Sarà intercalata dalla lettura di testi scritti da Piero Calamandrei e Giosuè Borsi – appena ventiseienni parteciparono al primo conflitto mondiale – scelti e letti dalla compagnia teatrale «Attori & Convenuti». Sabato 11, alle ore 17, nella «Sala Giosuè Borsi» della Basilica di San Lorenzo avrà luogo un incontro di presentazione, organizzato in collaborazione con l’Associazione culturale «Comitato Fiorentino per il Risorgimento», dal titolo «La Grande Guerra, suoni e testimoni»: dopo i saluti del Priore della Basilica, Mons. Marco Domenico Viola, interverranno Fabio Bertini, Coordinatore nazionale «Comitati per il Risorgimento», Gaetano Pacchi, Direttore artistico della compagnia teatrale «Attori & Convenuti» ed il maestro Umberto Cerini. Il concerto, reso possibile dal contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze e dell’Opera Medicea Laurenziana, fa rivivere alcune pagine di questa messa riportandole all’attenzione del pubblico ora che si celebra il centenario di quella «inutile strage». Sarà il nostro modo di ricordare quei caduti. La Grande Guerra fu il primo grande conflitto che mise alla prova tutte le forze dell’Italia unita. Da Firenze partì per il fronte anche Francesco Bagnoli che entrò nelle file del 182° Battaglione di Milizia Territoriale (nello stesso battaglione fu arruolato anche…Totò!). Classe 1876, nato a Marcialla in Val d’Elsa, Bagnoli fu organista e compositore, figura fondamentale nel mondo fiorentino della musica sacra tra ottocento e novecento. Nel 1918 Bagnoli fu nominato dal cardinale Alfonso Maria Mistrangelo, allora Arcivescovo di Firenze, organista e maestro di cappella del Duomo. Negli anni successivi iniziò il suo ampio lavoro d’insegnante nel Seminario di Firenze, presso il quale avviò alla musica sacra e al canto intere generazioni di sacerdoti (fra di essi Domenico Bartolucci). Bagnoli ha conosciuto le sofferenze della guerra; in un periodo di licenza ne nasce una partitura coinvolgente ed emozionante. Il gusto raffinato del compositore toscano, che dimostra di conoscere non solo lo stile di riferimento per la musica sacra italiana dell’epoca (quello di Perosi), ma anche il gusto del repertorio sinfonico e corale d’Oltralpe di quei decenni (non mancano infatti nella partitura «echi» che sembrano richiamare lo stile ora di Faurè, ora di Bruckner) ben tratteggia le diverse sfumature del testo della messa dei defunti. Come abbiamo scritto, la musica di Bagnoli sarà intercalata con la lettura di un «mosaico» di brani tratti dagli scritti di Piero Calamandrei e di Giosuè Borsi. Del periodo della Grande Guerra l’illustre giurista ha lasciato una copiosa testimonianza nelle lettere indirizzate ai genitori e alla moglie e nelle commemorazioni dei caduti in quel conflitto pronunciate tra il 1920 e il 1924, in articoli e in passi di alcuni discorsi. Dopo la disfatta di Caporetto lo Stato Maggiore dell’esercito italiano affidò a Piero Calamandrei e all’amico e commilitone Vittorio Gui il compito di raccogliere in un opuscolo canti da destinare alle truppe per rialzarne il morale. Il poeta cattolico Giosuè Borsi, invece, partito volontario il 31 agosto 1915, morì durante un combattimento a Zagora, il 10 novembre dello stesso anno. Fu un valoroso soldato Giosuè Borsi; da suoi scritti si evince il moto dei sentimenti che lo spinge ad affrontare la morte quale ineluttabile, per non dire voluto, agognato e catartico destino. Borsi e Calamandrei si erano conosciuti e, nel maggio 1915, avevano compiuto insieme i primi passi nell’addestramento militare alla caserma di Costa San Giorgio; ufficiali tutt’e due di prima nomina al 69° Fanteria. Due vite, due «esperienze» militari che sono accomunate in questo evento per comunicarci che «l’eredità» lasciataci «non è la violenza, santa se usata a tempo; non è l’odio, che svanisce in fumo maligno come il fumo di una granata; non è il coraggio, non è l’eroismo… È soprattutto la bontà, l’amore, lo spirito di sacrificio».U. C.