Cultura & Società
Mariangela Maraviglia: «Il mio giro d’Italia sulle orme di Padre Turoldo»
«L’avrà notato scorrendo la biografia che ho scritto per la Morcelliana: la vicenda di padre David Maria Turoldo, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita, è un’occasione di rilettura che travalica la sua vita e incrocia momenti capitali della Chiesa e della società del secolo scorso. Spero di aver reso un piccolo servizio alla storia e alla memoria di un protagonista, e vorrei dire anche di un tempo, ricchi di inquietudini religiose e politiche sulle quali mi sembra non inutile confrontarsi con l’oggi». La storica pistoiese Mariangela Maraviglia è in partenza per Bose: l’attende l’ennesimo incontro con la Comunità monastica di Enzo Bianchi, un’oasi di spiritualità aperta al mondo, che molto ricorda le sferzanti e dense predicazioni del frate friulano. Prima del ritiro, tra una lezione e numerose richieste di presentazione del corposo volume appena pubblicato, David Maria Turoldo- La vita, la testimonianza (1916-1992) – (Morcelliana, 450 pagine, 30 euro), illustra le novità emerse dalla complessa ma completa ricostruzione storiografica di un «poeta, profeta, disturbatore delle coscienze, uomo di fede, uomo di Dio, amico di tutti gli uomini»: così l’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini salutava il Servo di Maria celebrandone il funerale l’8 febbraio 1992, restituendo in pochi tratti un’esistenza cristiana tra le più intense del Novecento italiano.
Prof. Maraviglia, dopo le ultime ricerche possiamo in sintesi dire che il tema della speranza segna l’intera avventura umana di David Maria Turoldo?
«Lo segna sin dal tempo giovanile per accompagnarlo nel corso dell’intera vita. Negli anni del fascismo e della Resistenza, nel dopoguerra, nei conflitti e nelle lacerazioni degli anni Sessanta e Settanta, Turoldo condivise insieme a non pochi credenti della sua generazione la prospettiva di una speranza integrale, che abbracciasse la storia e l’eterno, che si declinasse come possibilità di giustizia e pace sulla terra per poi realizzarsi compiutamente nell’abbraccio amoroso di tutta l’umanità in Dio. Superando il tradizionale dualismo tra spirituale e temporale, la trasformazione del mondo era da lui ricompresa nella prospettiva della vittoria finale sulla morte: speranza che accompagnò padre David nei giorni estremi della malattia e nella toccante testimonianza pubblica che rese – attraverso interviste e scritti – della propria fine terrena».
Portiamolo nel nostro tempo: sarebbe felice di Papa Francesco, come lo fu di Giovanni XXIII?
«Turoldo riconobbe nel pontificato di Giovanni XXIII e nel Concilio Vaticano II l’inaugurazione di un tempo nuovo: l’abbattersi delle barriere secolari che separavano la Chiesa dal mondo, un situarsi della Chiesa nella storia a fianco e in dialogo con l’umanità, un ritorno alla Bibbia come chiave di un necessario “aggiornamento”, uno “stile” pastorale finalmente di misericordia e non di condanna. Si può facilmente cogliere quanto le scelte e il magistero dell’attuale pontefice si collochino in continuità con la novità conciliare e si può dunque immaginare che Turoldo lo avrebbe condiviso appieno e, si può aggiungere, con quell’entusiasmo che contrassegnava il suo carattere».
Cosa apprezzerebbe di più del Magistero di Bergoglio?
«Turoldo fin dal 1949 scriveva al cardinale di Milano Ildefonso Schuster – che lo aveva invitato a predicare in duomo alla domenica – di nutrire il “sogno” di “un cristianesimo solo di amore” e la speranza che “le anime [ritornassero] a credere attraverso i fatti”. Si può segnalare la consonanza di queste parole con la proposta di una fede gioiosa e concreta propria di papa Francesco, una fede incentrata sul messaggio della misericordia e sulla coerenza tra la fede professata e la testimonianza di vita».
Padre David è stato sicuramente un punto di riferimento per la generazione di cattolici del Concilio Vaticano II. Le sfide innovative lo conquistarono, ma poi lui stesso parlò di delusioni e disincantamenti. Cosa si era spezzato?
«Le promesse di rinnovamento ecclesiale non gli sembrarono mantenute negli anni successivi al Concilio: la Chiesa – denunciava al suo vescovo Clemente Gaddi nel 1973 – non si era immersa nelle tragedie dell’umanità, non aveva assunto il volto di “popolo di Dio” che condivideva un comune cammino; predicazione, gesti e riti restavano incomprensibili alla maggior parte dei fedeli. Su tutti quei fronti padre David si distinse per un impegno strenuo e in prima persona: in particolare, nell’intento di far pregare “con l’animo e la lingua di oggi”, tradusse più volte i Salmi biblici, avvalendosi dagli anni Ottanta della collaborazione dell’allora giovane biblista Gianfranco Ravasi. Ne nacque un’amicizia molto calda e profonda, testimoniata poi dal cardinale in vita e in morte di padre David».
Oggi il mondo è scosso dalle guerre e dal terrorismo. E un’emergenza che coinvolge tutti, anche i non credenti, è quella del rapporto con l’Islam. Il Servo di Maria è stato sicuramente uno dei primi ad abbattere i muri e ad elevare ponti. Come interpreterebbe questo dialogo?
«In primo luogo occorre dire che per Turoldo, come per l’ardimentoso parroco lombardo don Primo Mazzolari, il dialogo era soprattutto con i “lontani” intesi come non credenti e come comunisti, opzione scandalosa negli anni della guerra fredda e dell’opposizione tra i due blocchi occidentale e sovietico. Nel periodo trascorso a Firenze (1954-1958), padre David – sollecitato anche dalla riflessione di teologi francesi e del confratello padre Giovanni Vannucci – maturò il concetto della sacralità di ogni religione e la convinzione di una salvezza destinata a tutti gli uomini, in un’apertura universale che oggi è patrimonio ampiamente condiviso ma allora risultava inusuale e coraggiosa. L’idea “ecumenica” di Chiesa come “sacramento di unità e di pace” per tutta l’umanità, al di là di ogni steccato, dottrina, privilegio, contrassegnò Turoldo nel corso dell’intera vita e lo porterebbe certamente ancora oggi a condividere ogni percorso di apertura e di umanizzazione».
La passione civile è indubbiamente stata un tratto caratteristico. Dal suo studio cosa emerge di nuovo della presenza a Milano negli anni della Resistenza e della ricostruzione?
«Le carte d’archivio hanno permesso di ricostruire con una notevole puntualità la generosa e intrepida attività di padre Turoldo, del suo fraterno confratello padre Camillo De Piaz e dei Servi di Maria del convento di San Carlo in sostegno alla Resistenza milanese. Quella esperienza divenne uno “spartiacque” della sua vita religiosa e civile, venne da lui letta come scelta etica “dell’umano contro il disumano” incarnato da fascismo, bisogno e attesa di giustizia e di rinnovamento spirituale e culturale. In questa chiave va interpretato l’audace spendersi dei due frati in appoggio e collaborazione con i resistenti cattolici e comunisti – due nomi per tutti tra i tanti transitati nel convento milanese: Teresio Olivelli ed Eugenio Curiel -e la promozione del foglio clandestino “L’Uomo”, contributo giovanile al riscatto e alla ricostruzione civile e morale dell’Italia».
Fu allora che conobbe don Primo Mazzolari. Dalle carte d’archivio che affinità emergono?
«Turoldo conobbe personalmente Mazzolari nell’immediato dopoguerra. Don Primo, già noto come scrittore, predicatore e partecipe alla Resistenza, fu coinvolto in molteplici incontri di preti e laici poi identificati come “avanguardie cattoliche” perché tutti mossi dal desiderio di rinnovamento ecclesiale e sociale. Ai nomi di Mazzolari e Turoldo vanno aggiunti quelli di Nazareno Fabbretti, Umberto Vivarelli, Nando Fabro, Mario Gozzini con le loro riviste “Il Gallo”, “L’Ultima”, poi la mazzolariana “Adesso”. Turoldo e De Piaz diedero vita nel 1952 al centro culturale “Corsia dei Servi”, per decenni punto di riferimento dei cattolici e degli intellettuali milanesi, che coinvolse altre figure carismatiche come padre Ernesto Balducci e don Divo Barsotti. Li univa la convinzione che fossero finiti gli anni della “onnipotenza” cattolica e che le sfide della incipiente secolarizzazione non si potessero fronteggiare con il conservatorismo del declinante pontificato di Pio XII, ma con una riforma ecclesiale capace di rilanciare la “novità” evangelica e risvegliare le coscienze di una cattolicità passiva e abitudinaria. Si tratta di figure rimaste sempre “libere e fedeli”, come amava dire Turoldo citando Giovanni Battista Montini, che seppero non soltanto soffrire “per la chiesa”, ma pure soffrire “da parte della chiesa”, senza mai potersi pensare fuori da quella che consideravano la loro amata e irrinunciabile “casa”».
Padre Turoldo fu molto vicino anche a don Zeno Saltini ed alla sua Nomadelfia. Come nacque la loro amicizia?
«Incontrato don Zeno nel 1948, ne sposò immediatamente la causa. Nomadelfia, con la sua carità fattiva – l’accoglienza in famiglie di orfani e abbandonati – e la sua economia comunitaria apparve a padre David “una smentita contro quelli che pensano che la parola di Gesù sia un’utopia”. Si impegnò strenuamente nella promozione dell’esperienza e nel suo sostegno finanziario, tanto da guadagnarsi il titolo di Ministro degli esteri di Nomadelfia da parte del giornalista Dino Buzzati, che così lo appellò sul “Corriere della Sera”. La sua attività di predicazione e di carità – aveva promosso a Milano pure una Messa della carità, come avrebbe fatto a Firenze e a Udine – lo aveva messo in contatto con borghesi generosi, in primo luogo i membri della famiglia Pirelli, che diedero contributi economici e di impegno determinanti per la continuazione di Nomadelfia anche dopo il suo traumatico arresto. Nel 1952 don Zeno fu infatti allontanato dalla sua creatura per decreto del Sant’Uffizio ; Turoldo fu bandito da Milano e dall’Italia nel primo dei suoi forzati “esili” all’estero, in questo caso nel convento dei Servi di Innsbruck».
La vitalità ecclesiale della sua stagione nella Firenze di La Pira è uno dei punti chiave della biografia…
«I Servi di Maria di Firenze, in particolare il provinciale della Toscana padre Raffaele Taucci, ebbero il merito di permettere il ritorno di Turoldo in Italia nel 1954. A Firenze egli ritrovò padre Vannucci (con cui aveva condiviso l’esperienza di Nomadelfia e la speranza di rinnovamento della Chiesa e dell’Ordine), Balducci, Barsotti, Gozzini. Conobbe don Enrico Bartoletti, Giampaolo Meucci, don Mario Lupori, poi suoi amici per la vita. Fu presto inserito nel fervore ecclesiale e sociale fiorentino – potenziato dalla presenza utopica e fattiva di Giorgio La Pira, sindaco a più riprese dal 1951 al 1964 – divenendone presto un protagonista. Una delle amicizie che sono stata felice di poter mettere a fuoco nella mia biografia è quella – tumultuosa e appassionante – con don Lorenzo Milani, sorta fin dall’arrivo di Turoldo a Firenze: padre David fu coinvolto tra l’altro nella revisione di Esperienze pastorali che sperò, senza fortuna, di poter pubblicare con le edizioni della Corsia dei Servi, e promosse, come gli raccomandò Milani poco prima di morire, la divulgazione di Lettera a una professoressa. L’esperienza fiorentina si concluse traumaticamente con il secondo “esilio” di Turoldo, questa volta a Londra, nel 1958. Riuscì a tornare in Italia nel 1960 per poi stabilirsi all’abbazia di Sant’Egidio di Sotto il Monte (Bergamo) nel 1964».
Possiamo dire che la presenza di padre Turoldo, i contatti di don Mazzolari abbiano lasciato il segno ancor oggi a Firenze e in Toscana?
«Non parlerei di un’eredità specifica, ma di un’eredità diffusa, di una circolazione di idee ispiratrici di esperienze, gruppi, realtà dai tratti diversi, che dal Concilio e da figure come Turoldo e Mazzolari hanno tratto linfa per i propri percorsi di vita e di fede. In Toscana individuerei i segni più specifici di padre Vannucci, che nel 1967 si stabilì nell’eremo delle Stinche di Panzano in Chianti, tuttora centro vivo di spiritualità, e i cui scritti sono riferimento costante per la fraternità di Romena (Arezzo)».
Non possiamo infine trascurare un’altra «vocazione profetica», coltivata fino all’ultimo: cosa ha rappresentato per lui la Poesia? Quali sono stati i principali interlocutori letterari?
«La poetessa Alda Merini, grande estimatrice di Turoldo, scrisse che era “un uomo quasi costretto a prendere la materia della vita e farne un canto”; Andrea Zanzotto affermò che come pochi egli sentiva “l’enigma e la necessità” della poesia; Giuseppe Ungaretti laureò con una sua prestigiosa Premessa la raccolta turoldiana Udii una voce del 1952. A tali autorevoli interlocutori vanno aggiunti i nomi di Luciano Erba, Carlo Betocchi, e soprattutto del poeta gradese Biagio Marin, con cui padre David intrattenne un notevole carteggio di carattere letterario-religioso, che sarà oggetto di una prossima pubblicazione da me curata».
E l’opera più bella?
«Sulla scorta del critico Carlo Bo, che considerò l’ultimo Turoldo uno dei pochi autori degni di essere letti nel nuovo millennio, indico Canti ultimi (Garzanti), la raccolta in cui il suo pensiero e la sua poesia si concentrarono sul “nocciolo della cosa”, come avrebbe scritto Mario Luzi al momento della morte, “la cosa estrema [che] era anche per lui la conoscenza di Dio e del suo impenetrabile silenzio”».
Una ricerca condotta su fonti inedite e testimonianze dirette
Quello di Mariangela Maraviglia è stato una sorta di giro d’Italia sulle orme di padre David Turoldo. Quattro anni di lavoro senza soste, condotto su fonti inedite conservate negli archivi dei conventi dei Servi di Maria in cui il frate friulano ha vissuto i diversi momenti della sua vita; nei luoghi istituzionali in cui si è trovato ad operare (Milano, Nomadelfia, Firenze, Urbino, Bergamo); in quelli che conservano documenti di figure amiche come Camillo De Piaz, Primo Mazzolari, Giorgio La Pira, Mario Gozzini, Ernesto Balducci, Giovanni Vannucci, Carlo Manziana. A questa monumentale documentazione va aggiunta la raccolta di testimonianze dirette; di memorie e spunti illuminanti offerti dalle conversazioni con Enzo Bianchi, il card. Loris Capovilla, don Angelo Casati, Alberto Melloni e altri studiosi della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna, da cui è partita la prima proposta di una ricerca dottorale nel gennaio 2011. Per il periodo fiorentino la prof. Maraviglia ha potuto consultare esclusivamente la Cronaca del convento della Santissima Annunziata, ma si è comunque avvalsa anche anche delle preziose interviste fatte a suo tempo da Romano Poccianti.
La ricognizione turoldiana è iniziata dopo che per anni la storica pistoiese si era occupata di figure vicine a padre David per sensibilità spirituale ed ecclesiale: la Sorella Maria di Campello e soprattutto don Primo Mazzolari, al quale sta tornando per una nuova pubblicazione natalizia commissionata dalle Dehoniane.
Da dieci anni la storica toscana fa parte del Comitato scientifico della Fondazione creata per approfondire la figura del parroco di Bozzolo: alla «Tromba dello Spirito Santo in terra mantovana» (così lo aveva salutato pubblicamente Papa Roncalli ricevendolo in udienza privata nel 1959) la studiosa aveva dedicato la tesi di laurea, poi ha trovato altri spunti per ricerche successive, sviluppate a fianco dell’insegnamento da sempre svolto nella scuola pubblica. Esperienze e incroci hanno favorito la nascita di nuovi profili, indagini, accostamenti a personalità del cristianesimo contemporaneo impegnate in ambito sociale e nel dialogo ecumenico e interreligioso, come don Lorenzo Milani, Achille Grandi, don Michele Do, Giuseppe Lanza del Vasto, mons. Carlo Manziana e più recentemente padre Turoldo. In questi anni la prof. Maraviglia ha inoltre partecipato a convegni di carattere scientifico, a incontri di impegno ecclesiale, invitata da comunità e gruppi culturali: tra questi la comunità monastica di Bose e quella milanese di via Sambuco. Non meno importanti sono state le occasioni di collaborazione e di riflessione offerte da più vicine realtà, come i pistoiesi Centro culturale Maritain, gruppo Koinonia, Centro Espaces «Giorgio La Pira», l’eremo di San Pietro alle Stinche e la comunità di San Leolino a Panzano in Chianti. La storica infine collabora come docente invitata all’Istituto superiore di scienze religiose «Beato Ippolito Galantini» di Firenze e insegna Storia della Chiesa nelle scuole teologiche delle diocesi di Pistoia e Prato. Non va dimenticata la grande passione per la musica, specialmente per quella di autori che cantavano inquietudini interiori e aspirazioni sociali, passione espressa nella collaborazione con alcune testate giornalistiche.